Oggi Franca Valeri, la “Signorina Snob”, avrebbe compiuto 101 anni. Ci ha lasciato il 9 agosto dell'anno scorso.
Arie. “Anche quest'anno ho l'aria di mantenermi folle” (la Signorina Snob).
Opposti/1. Il mondo della Signorina Snob, “un mondo esclusivo, una casta chiusa in sé stessa: la cafè-society padana (“Orgia di ospiti esterissimi, con spolveratura generale di tutte le lingue imparate in tenera infanzia tranne l'ottentotto”), spesso in contrapposizione con la nobiltà capitolina (“Uno, notissimo di Roma, ha rilevato il biglietto d'invito da una, notissima di Milano, in cambio di una villa sulla Costa Azzurra”) (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Opposti/2. “Quasi sempre ero messa in contrapposizione con una molto bella, dalla Loren del Segno di Venere alla Buccella di Basta guardarla... C'era sempre una bona, una bella, che sposava il ragazzo, e io facevo l'antagonista comica. Ma restavo sempre su un piano umano, non facevo mai la maschera. Prima di me, le rare attrici comiche, come Tina Pica, erano sempre state maschere” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Incontri. “Mio padre era un banchiere, la sorella di mia nonna materna era moglie di Francesco Saverio Nitti, una mia cugina in secondo grado era la figlia di Francesco Crispi e tutti volevano che io facessi l'avvocato... Ma un giorno mi mandarono a Roma da Napoli perché mi incontrassi con un parente... Era appena finita la guerra. La Stazione Termini era gremita di ogni tipo losco, io mi incamminai in quel bazar, allorché vidi una ragazza. Bellissima, un sogno. Chissà come si chiamava. Comunque, un po' di soldi li avevo, e mi ci incamminai dietro. Andammo verso il centro, chiacchierando, finché la sconosciuta non salì le scale in un vecchio fabbricato per iscriversi all'Accademia d'Arte Drammatica e io, io la imitai” (Vittorio Caprioli ricorda il suo primo incontro con la venticinquenne Franca, nel 1945).
Cognomi/1. Il nome d'arte della Valeri, che di cognome faceva Norsa: il padre, Luigi Norsa, era ebreo. “Quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali, pianse; e per la figlia, che aveva allora diciotto anni, fu il momento più brutto della vita”. Non potendo più andare a scuola, Franca si prepara a casa, da privatista (prima era iscritta al liceo Parini) per poi tentare di dar l'esame al Manzoni, sperando che non se ne accorgessero. “Non se ne accorsero. L'Italia è sempre stata un po' inefficiente” (A. Cazzullo, Le italiane).
Cognomi/2. Dopo la fuga del padre, ingegnere alla Breda, e del fratello Giulio in Svizzera (“con i gioielli di famiglia cuciti nel cappotto”, che venderanno per sopravvivere), Franca resta a Milano con la madre, che è cattolica: il padre pensa che non correranno pericoli. Ma quando arrivano i nazisti deve nascondersi e per passare il tempo legge la Recherche di Proust (“Senza la guerra non sarei mai riuscita a finirla”). Un funzionario dell'anagrafe le procura una nuova carta d'identità, in cui figura col cognome della madre, Pernetta: “Ci fu un tempo in cui io non ero io”. E lei vive per un po' in una casa bombardata, in via Mozart, “insieme a altre persone braccate” (tra loro, una ragazza che si è appena sposata) e ai suoi due gatti, Mignina e Milù. Poi Franca trova riparo in casa di amici, ma a via Mozart ha lasciato i gatti e ogni tanto torna da loro. Un giorno trova il cancello aperto: di solito è chiuso, così lei “ha un'intuizione, si nasconde e assiste alla scena: dalla casa escono i tedeschi, trascinandosi dietro i prigionieri, tra cui la sposina ebrea” (A. Cazzullo, Le italiane).
Cadaveri. Anche per questo Franca va a vedere i cadaveri del Duce e della Petacci, appesi a testa in giù a piazzale Loreto. La madre è disperata a saperla in giro da sola: «In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma lei voleva vedere se il Duce era davvero morto. Le chiesi se avesse provato pietà. Mi rispose di no. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo» (A. Cazzullo, Le italiane).
Complici. “Un certo Platone... che mio marito aveva assunto come copista... riferisce certi pensieri e dichiarazioni di lui in occasione di passeggiate, banchetti... parole che mi fanno pensare che egli considerasse gli dei come dei complici e questo è certamente l'atteggiamento degli uomini che vogliono essere giudicati, sì... ma in amicizia e con benevolenza... per noi donne invece gli dei sono degli estranei in tale posizione che ci possono venire in aiuto solo se ben ricompensati... so che non provano per me tenerezza (si è visto da quello che mi è successo) ma non spenderò alcunché in averi, tempo e devozione per ingraziarmeli. Una qualità delle donne, poche, è quella di non credere nei miracoli” (F. Valeri, La vedova Socrate, in Tragedie da ridere).
Provini. Franca Norsa, bocciata alla prova d'ammissione ai corsi di recitazione dell'Accademia d'Arte Drammatica di Silvio D'Amico, a Roma: “Ciò non le impedirà di diventare famosa, di lì a qualche anno, col nome di Franca Valeri” (S. Avanzo in Franca Valeri, una signora molto snob). Di solidi studi classici, proviene dalla buona borghesia lombarda, vuol fare l'attrice e “nei salotti mondani e intellettuali milanesi gode di una certa notorietà per lo spirito corrosivo con cui dà vita a gustose imitazioni di personaggi reali che vede intorno a sé”. Dopo un'appartata frequentazione delle serate all'Arlecchino - col cabaret di Vittorio Caprioli, Alberto Bonucci e Plinio de Martiis, tutti legati dalla comune frequentazione dell'Accademia (ma c'erano anche Adolfo Celi, Paolo Panelli, Tino Buazzelli, Luciano Salce...) - Franca Norsa (non ancora Valeri: il nome d'arte è un omaggio al poeta Paul Valéry) debutta in teatro nel '48, a Milano, su un palcoscenico ricavato da una chiesa sconsacrata, per poi venir scritturata con gli altri dal Piccolo Teatro di Milano (stagione '49-'50). Il nome Franca Norsa compare a novembre nel primo allestimento strehleriano di Questa sera si recita a soggetto.
Prove. “Costei faceva, senza osare di salire sul palcoscenico, ma solo per qualche amico che l'incoraggiava, le prime imitazioni delle ragazze milanesi che dovevano poi renderla celebre al pubblico della radio” (Ennio Flaiano).
Errori. “Forse ci fu un errore nella distribuzione dei ruoli da parte di Strehler. Una nostra partecipazione in massa a un qualsiasi spettacolo equivaleva a quell'epoca a trasformare il più severo dei drammi in una sconcia farsa” (Luciano Salce a proposito della partecipazione di “un compatto nucleo di scanzonati attori provenienti dall'Accademia di Roma” agli allestimenti di Strehler per il Piccolo).
Lacrime. “Non sono un'attrice drammatica; non posso sopportare dei lunghi primi piani con le lacrime” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Cugine. “La nascita de Il segno di Venere è una storia complicata... All'inizio il mio personaggio e quello che poi ha fatto la Loren dovevano essere due sorelle; il film avrebbe dovuto dirigerlo Comencini. Poi con Comencini non hanno combinato, la produzione è passata a Carlo Ponti, che ha imposto la Loren. Ma, come sorelle, io e la Loren eravamo molto improbabili. Allora siamo diventate cugine, una settentrionale e una romana, che abitano tutte e due a Roma, con una zia napoletana. Una famiglia un po' complicata, ma divertente” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Sorelle. “Si cercava anche di mischiare un po' le carte: c'era il sapore neorealistico, un po' di commedia, un po' di bravura di attori - c'erano in fondo delle esibizioni di attori - e una storiella che funzionava, con le due sorelle, la bella e la brutta” (Dino Risi, a proposito del Segno di Venere).
Ragazze. “In Cesira si intravede già quel fondo di tristezza che è presente in tutti i miei personaggi comici. Perché quasi sempre il personaggio comico è uno un po' ignorato dalla vita. Fa ridere proprio perché non è una persona felice, uno a cui va tutto bene. Al cinema ero specializzata in ruoli di infelici in amore, tranne qualche moglie bizzarra. Nel Segno ero proprio la tipica ragazza destinata a restare al palo” (F. Valeri).
Signorine. Il diario della signorina Snob, dato alle stampe dalla Valeri nel '51 per i tipi della Mondadori e illustrato da Coletti Rosselli “con disegni di vago tratto grosziano” (S. Avanzo). Raccoglie diverse scenette create per i microfoni e una serie di personaggi che “volteggiano intorno alla Signorina Snob fin dalle prime trasmissioni radiofoniche”: come il Pierone, “fidanzato sempliciotto, schiavizzato full time”, e l'Ildefonsa, l'amica che è tale al solo scopo di porre in risalto con la propria goffaggine gusti e comportamenti della Signorina (un po' come l'Anna cafona, la Tittona I., quella dei formaggi a quadrupla panna per rimbambiti, o la Cicci D., delle giarrettiere sintetiche). E ci sono poi il Lele, “ragazzo di bell'aspetto e ingente conto in banca”, e il Ciprianino, di nobili natali (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Donne. “Tutte le donne di Franca Valeri hanno qualcosa in comune - non sono mai inoffensive, mancano tutte di bonarietà, di mitezza. Quando sono remissive con gli altri... si accaniscono contro sé stesse, pur di accanirsi contro qualcuno. Quello che le sostiene sempre è l'autoillusione, che è la faccia triste dell'inventiva. Parlano moltissimo per evitare di pensare” (P. Zappa Mulas, Franca Valeri, Tragedie da ridere, Dalla Signorina Snob alla vedova Socrate).
Abitini/1. L'abitino nero di Capucci, scelto dalla Valeri per tutte le sue apparizioni televisive.
Abitini/2. “Io avevo saputo prima dal Lele... che le varie Tippy's, Manuele ecc. sarebbero state tutte in bianco e mi sono messa, naturalmente, la matta, in vestimenta super colorate, con sopra un orrendo scialletto trafugato alla trisavola della portinaia. Come gioielli messo spille da balia, e come ornamenti, anziché fiori, ortaggi. Effettivamente la folla delle giovinette biancovestite sembrava una torta di nozze. L'Anna cafona era in nero, meno male, perché cos'è di grasso povera stellina, un vascello. Sta a rabarbaro da tre mesi, ma non cala!” (la Signorina Snob).
Abitini/3. La serie televisiva de Le divine, in sei puntate, scritta dalla Valeri con Caprioli e Medioli e nata dall'idea di “una specie di revival di alcune epoche, ognuna riassunta in un personaggio femminile famoso, una specie di diva dell'epoca”, col grande quadro stile Folies Bergères “da dove venivo fuori come Maria Antonietta, con un grande cappello, e cantavoj'aurai la tete coupée”.
Signore/1. “La Signora Cecioni è Roma, la vera Roma: è furba, è pigra, è una che giudica. Con gli anni diventa una che si intrufola, che si adegua. E la Signorina Snob è Milano; ma anche di più, perché lo snobismo è universale” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Camelie. “È un periodo che mi sento talmente sinistrorsa che il levriero mi dà un fastidio da matti. Urtami il sistema nervoso uscire con quel magrone con antenati. Gli ho distrutto tutti i papiri con la storia di famiglia, lo chiamo Teodoro per la strada ad altissima voce, facendo voltare tutta Milano, invece di chiamarlo Filiberto ottavo di Rosy Star, come gli spetta, lo porto in giro con un paltoncino orrido di lana mistissima, tipo periferico, gli do carne a quintali per fargli rovinare la pelle, e lui, niente, permane una camelia con occhi lunghissimi e fa i suoi bisognini solamente nel private della genitrice madre. Per protesta mi comprerò una vacca, centenaria!” (la Signorina Snob).
Signore/2. “Ho fatto milanesi, bolognesi, venete, romane, l'antiquaria toscana. Di quella, che decapava tutto, era entusiasta per esempio Piero Tosi. In realtà, sono tutte imperfette. Ricordo che Fabrizi, quando sentiva la Signora Cecioni diceva: È più romana de me. Ma non era vero, perché l'accento era imperfetto; era lo spirito a essere perfetto” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Mogli. “Senta... non me faccia strilla' che nun ciò er fiato... pò esse che er marito mio è venuto là?... Be', je posso di' er nome... Ah, è difficile fasse senti'? Però se lo ricorderebbe, perché tanto è biondo quanto io so' bruna, ha sempre fatto effetto a tutti quando che eravamo fidanzati... Ar matrimonio poi come che semo usciti da la chiesa s'è fermato er quartiere... so' contrasti che chi ce l'ha ce l'ha... Pensi er dispetto de la natura: 'a pupa è escita castana... nun poteva pijà dar padre? … Ha pijato da la socera invece... tanto ho pianto in sala parto...” (la signora romana).
Vedove. “La morte del marito è un così grande dolore che nessuna donna ci rinuncerebbe” (F. Valeri, La vedova Socrate, in Tragedie da ridere).
Necrologi. “Ciao, Cretinetti. Franca Valeri, Milano”, il necrologio dettato al Corriere per la morte di Alberto Sordi.
Gonne. “Quando io ho cominciato a recitare c'era ancora una censura, anche se non era più quella di tipo fascista... Più che altro, allungavano le gonne delle ballerine. Sui testi intervenivano poco. Perché i nostri testi sarebbero stati probabilmente censurabili, secondo i loro criteri; ma non se ne accorgevano, perché erano troppo sofisticati. Magari tagliavano la stupidaggine, una parola, ma le cose più o meno critiche passavano inosservate” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Poltrone. “La borghesia italiana ride del vicino di poltrona senza accorgersi di essere in prima persona il soggetto del ritratto” (S. Avanzo).
Domande. Parigi o cara, girato a Parigi e scritto dalla Valeri con Vittorio Caprioli. Lo scenografo era Giulio Coltellacci, che conosceva Parigi come le sue tasche. “Quando l'hanno proiettato a Venezia... c'era seduto dietro di me René Clair che si meravigliava e continuava a chiedere: Ma come hanno fatto? Come li hanno trovati questi posti? Come fanno a sapere che là c'era quell'albergo?” (Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Risposte. “Non è difficile, spesso parliamo da soli, ci chiediamo delle cose e ci rispondiamo perché un pensiero non serve a niente se non è una risposta” (F. Valeri, La vedova Socrate, in Tragedie da ridere).
Abitini/4. “Vien da pensare: Pedro Almodóvar non ha inventato niente. Delia e le altre (donne di Caprioli) sono sorprendentemente almodovariane. E se Almodóvar non conosce Parigi o cara (forse l'avrà visto in qualche cineclub di Madrid o Parigi, città dove il film ha avuto larga notorietà) che qualcuno glielo faccia vedere di corsa. Lo adorerà... S'invaghirà di quelle donne con l'inevitabile foulard, testimonial della femminilità anni '60, fasciato sul capo, di quell'improbabile tailleur di piume che s'inalbera come una cresta ad avvolgerle la nuca, o di quel completo col fioccone amaranto sul collo, un Coco Chanel da quarto stato, che orna il corpicino da uccellino della Delia parigina, delle quattordici paia di scarpe... riposte nella scarpiera, sinonimo del calzante benessere di cui va fiera, del suo look complessivo, delle mise iperrealiste che (ri)vestono a puntino quella che lei vorrebbe fosse la sua personalità. E proprio nella sua personalità oversize Almodóvar potrebbe riconoscere la madre di tutte le sue donne sull'orlo di una crisi di nervi” (F. Bo, Lady D., in Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Abitini/5. “Chi è quel tipo in pigiama?” (Franca Valeri davanti a Lucio Dalla, che “una volta, a Bologna, le si prostrò davanti, ma lei non lo riconobbe”, A. Cazzullo, Le italiane).
Donnine. “(Delia) accetta come una punizione, una resa e una contromisura, la corte del pizzaiolo italiano (Vittorio Caprioli) che, fin dall'inizio, ha visto in lei una preda facile facile. Da puttana a madre di famiglia, dalla strada al tinello, dalla libertà alla vita coniugale, da involontaria rebel without a cause a docile casalinga devota, Delia è pronta per sottomettersi alle norme della restaurazione domestica, ai nuovi valori del benessere economico, alle belle speranze del nascente centrosinistra, a quella schiera di donnine piccolo-borghesi che abiteranno la stagione d'oro della commedia all'italiana. Solo allora, a bordo di una bella automobile, come fossero cartoline illustrate, avrà modo di (intra)vedere per la prima e ultima volta Parigi, Parigi o cara. I monumenti, le piazze, i palazzi. Poi un tunnel sul lungosenna inghiottirà Lady D., per sempre” (F. Bo, Lady D., in Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini).
Puntigli. “Di solito arrivano a cent'anni o le persone atarassiche, che sanno anestetizzare la sofferenza, o quelle un po' arcigne... Franca Valeri non era né l'una né l'altra natura; o forse partecipava di entrambe. Aveva la leggerezza di chi non prende quasi nulla troppo sul serio - tantomeno se stessa - e il puntiglio di chi ha il gusto del lavoro ben fatto, del talento da non sprecare” (A. Cazzullo, Le italiane).
Soldati. “Dei veri artisti, come dei vecchi soldati, si può dire che non muoiano; svaniscono” (A. Cazzullo, Le italiane).
Notizie tratte da: F. Valeri, Il diario della signorina Snob, Mondadori, Milano 1951; Franca Valeri, una signora molto snob, a cura di E. Martini, Lindau, Torino 2000; Franca Valeri, Tragedie da ridere, Dalla signorina snob alla vedova Socrate, a cura di P. Zappa Mulas, La Tartaruga edizioni, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2003; A. Cazzullo, Le italiane, Solferino, Milano 2021.
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