“The show must go on” recita un brano epico dei Queen, lo spettacolo deve andare avanti, nonostante il cuore si spezzi dentro, nonostante il trucco si stia sfaldando. Nonostante il Covid 19.
Questo mondo di lustrini e paillette, di luci, suoni e applausi entusiasti, di venditori di sogni e pescatori di emozioni, nell’immaginario collettivo è composto solo da attori e cantanti ricchi e famosi, e che i lustrini e le luci sfavillanti si autoproducano.
Non è così. Dietro i grandi nomi di richiamo, quelli che fanno cartellone e attirano pubblico nei teatri, nei cinema e negli stadi, esistono una marea di figure professionali che sono il nerbo di ogni evento pubblico e di cui nessuno parla: tecnici luci, fonici, macchinisti, direttori di scena, segretari di produzione, tutto il personale dei teatri, trasportatori, gli scenografi coi loro laboratori, truccatori e parrucchieri, i costumisti con le sartorie, noleggiatori, uffici stampa, le organizzazioni di vendita ticket, sceneggiatori e drammaturghi, gli autori delle musiche, i registi e i vari assistenti, i service audio/luci col personale di stoccaggio, trasporto e manutenzione, noleggiatori di strumenti musicali, il personale dei bar interni dei teatri e degli stadi, i negozi di make up e tutti i fornitori, tutto l’indotto che guadagna sul pre e post spettacolo, la cui precarietà lavorativa ha assunto una valenza paradigmatica dell’emergenza durante la pandemia.
Chi è lavoratore dello spettacolo sa già che non può contare su nessun tipo di tutela previdenziale in caso di malattia o di difficoltà del settore, non avendo un vero status giuridico nonostante sia soggetto al versamento dei contributi Inps e Fis (fondo integrativo in caso di crisi); per tutti quelli che non sono assunti da realtà giuridicamente riconosciute come cooperative, teatri stabili, fondazioni, cioè la maggioranza degli operatori, non resta che aprire la famigerata partita Iva che di fatto rende quasi impossibile sperare di ottenere prestazioni previdenziali adeguate.
Già dalla seconda metà di febbraio sono stati annullati concerti, spettacoli, reading, mostre d’arte. Le scuole di teatro e cinema hanno chiuso, i set cinematografici sono stati bloccati, molti progetti non sono più partiti. Se pure si ipotizzasse un sostanzioso allentamento del lockdown oppure un’efficace e soprattutto rapida campagna vaccinale, le successive stagioni di spettacoli sarebbero compromesse. Sarà necessario recuperare gli spettacoli sospesi e quindi teatri, stadi e spazi per eventi daranno la precedenza a chi è già pronto da tempo, mentre le produzioni nuove saranno scarsissime e dovranno attendere non si sa quanto.
Gli attori che erano già in forza nei progetti sospesi faranno pressione perché questi vengano ripresi il più presto possibile per restare a galla, mentre chi era rimasto fuori dal giro pregherà che ci siano sostituzioni, perché le novità saranno davvero pochissime e la probabilità di colare a picco diventerà reale.
Una situazione drammaticamente messa in evidenza anche dal FED.IT.ART., la federazione composta da compagnie teatrali, musicali e di danza, che in un comunicato alle istituzioni ha denunciato che “la categoria dei lavoratori del settore non è in grado di sopportare ulteriori blackout dell’attività di teatri, sale da concerto, centri culturali e scuole di arti sceniche e performative, se non a costo di chiusure di massa e di conseguente disoccupazione di centinaia di migliaia di addetti (artisti, amministrativi, tecnici) in tutta Italia”, chiedendo risorse di sostegno più pervasive in grado di far fronte non solo all’emergenza, ma anche a una futura possibilità di ripresa.
“È vergognoso che, in momenti come questo, ci si dimentichi di tanti uomini e tante donne”, sostiene Antonello Cossia, regista e attore teatrale in un’intervista rilasciata al giornale online Juorno.it “che sì, hanno potuto e voluto scegliere il proprio mestiere fatto di divertimento, di esperienze meravigliose e anche di sacrifici enormi e duro studio, ma che continuamente cercano di offrire agli altri momenti di gioia, svago, piacere, emozioni, riflessioni, conoscenza, scoperta; in una parola, cultura”.
Cosa dunque si può fare per impedire che il disastro in atto diventi definitivo?
Ci sarebbero gli aiuti di Stato, attraverso il Decreto Ristori quater, in cui è previsto lo stanziamento di un ulteriore miliardo di euro a sostegno della cultura e del turismo e di un’indennità pari a 1.000 € per gli artisti, le maestranze e i lavoratori intermittenti dello spettacolo, come pure il fondo di sostegno pari a 5 milioni stanziato dall’IMAIE a sostegno della musica e dell’audiovisivo
Ma non basta. Non basta aggiungere toppe economiche dove invece occorre prendere atto che l’intero apparato va rivisto e ridisegnato, affrontando le storture e le carenze che da troppo tempo affliggono il settore. In tal senso, qualcosa si sta muovendo.
La FED.IT.ART. ha recentemente ottenuto la creazione di un tavolo permanente, dove rappresentanti dello spettacolo e delle istituzioni possono finalmente confrontarsi e attraverso il quale fare richieste concrete e strutturate, come la Proposta di disegno di legge presentata al Ministro dello spettacolo e dei beni culturali Franceschini, che contiene una revisione sostanziale di tutto l’apparato.
In particolare, la proposta prevede il riconoscimento di tutte le Imprese Culturali come soggetto giuridico e quindi equiparate alle imprese sociali attraverso l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale del terzo settore, la creazione di un Fondo per lo sviluppo del settore, con distribuzione capillare in tutte le regioni italiane attraverso la costituzione di vere e proprie Agenzie Regionali, che avranno il compito di promuovere e sostenere i progetti locali; inoltre, la possibilità che le Imprese Culturali ricevano donazioni e sostegni finanziari da privati attraverso lo strumento dell’Art Bonus, fiscalmente vantaggioso per i donatori stessi, che attraverso le Regioni siano a loro trasferiti i beni immobili pubblici non utilizzati o confiscati, in modo da poter svolgere attività culturali, e, infine, l’accesso al credito agevolato attraverso specifiche convenzioni col circuito bancario.
Gino Auriuso, presidente della Federazione degli artisti, spiega così lo spirito su cui si basa la Proposta di Legge: “Noi di FED.IT.ART. intendiamo batterci in difesa non solo delle grandi strutture organizzative e produttive, ma anche e soprattutto delle attività culturali di base e di prossimità che arricchiscono, con la loro attività e la loro quotidiana presenza, Periferie, Province e Comuni dell’Italia minore, creando coesione sociale, offrendo svago, cultura e dignità”. (fonte Askanews.it)
C’è anche chi, come l’attore e doppiatore Patrizio Cigliano, attraverso il suo account Facebook, fa proposte personali e “rivoluzionarie” rispetto a un sistema ormai consolidato come quello teatrale, che favorisce solo alcuni operatori e che crea inevitabili squilibri: “Con obbligo di legge, il Ministro Franceschini potrebbe disporre che le produzioni più ricche e i teatri stabili e quelli nazionali, scritturino per ogni produzione personale diverso, con un minimo di 6 attori più personale vario, per almeno tre stagioni… tutto personale nuovo per ogni spettacolo: attori, registi, maestranze ecc. Avviare una sorta di rotazione a ricambio continuo. Lavoro per tutti! Stop ai Clan e alle famiglie. Chi prende soldi dallo Stato (attraverso il F.U.S., N.d.R.) li redistribuisce nel settore, allargando le collaborazioni e dando lavoro”.
“E sempre per i teatri che attingono ai fondi statali, obbligo nelle produzioni di rapporto 5 a 1 tra repertorio e novità italiana: ogni cinque produzioni contemporanee, un classico. Rapporto che c’è in tutto il mondo, mentre in Italia è l’inverso! E stop agli spettacoli con soli due o tre attori: minimo sei”. Secondo Gigliano intraprendere questa strada porterebbe a una spinta propulsiva alla necessaria riqualificazione della drammaturgia contemporanea: “Sarebbe un’opportunità di grande risveglio teatrale, fermo da metà anni ‘90”.
Per quanto possa sembrare una visione singolare e perfino audace, quella di Gigliano rispecchia l’esigenza di una profonda revisione del mondo dello spettacolo “E il cambiamento porta sempre a qualcosa di positivo”, aggiunge l’attore, “specie quando interviene dopo decenni di stallo. Rinascita sia sul piano occupazionale, che artistico, che creativo, che produttivo. E soprattutto Sociale! Perché il teatro resta comunque il primo mass media dell’Umanità”.
Diversi anni fa, un ministro dell’economia sostenne che “con Dante e con la cultura non s’imbottisce il panino”, dimostrando di non aver capito, oltre al valore intrinseco e universale della parola, quanto essa racchiuda un ambito tangibile di fatica, impegno, professionalità di altissimo livello e quanto sia esiziale sottovalutarne gli effetti su qualunque civiltà che voglia definirsi tale.
Artigiani delle note e delle parole, gli artisti manipolano, mescolano, forgiano l’anima di chi vuole ascoltarli, operai instancabili, lavorano al servizio della mente e dell’animo umano offrendo, appunto, un servizio sociale, così come è descritto nella splendida poesia di Majakovskij “Il poeta Operaio”
Gridano al poeta:
“Davanti a un tornio ti vorremmo vedere!
Cosa sono i versi? Parole inutili!
Certo che per lavorare fai il sordo.”
Forse il lavoro
è per noi più caro di ogni occupazione.
Sono anch’io una fabbrica
E se mi mancano le ciminiere,
forse, senza di esse,
ci vuole ancor più coraggio.
Lo so: voi non amate le frasi oziose.
Quando tagliate del legno è per farne dei ciocchi.
E noi, non siamo forse degli ebanisti?
La quercia delle teste intagliamo.
Certo, la pesca è cosa rispettabile.
Tirare la rete e prendere storioni.
Ma non è meno rispettabile il lavoro del poeta,
prendere gente viva e non pesci.
Fatica enorme è bruciare agli altiforni,
temprare i metalli sibilanti.
Ma chi oserà chiamarci pigri?
I cervelli forbiamo con la lima della lingua.
Chi è superiore, il poeta o il tecnico
Che porta gli uomini a vantaggi pratici?
Sono uguali.
I cuori sono motori
E l’anima è un motore altrettanto complesso.
Siamo uguali. Compagni di una massa operaia.
Proletari di spirito e di corpo.
Soltanto uniti abbelliremo l’universo,
l’avvieremo a tempo di marcia.
Contro la marea di parole innalziamo una diga.
All’opera! Al lavoro nuovo e vivo!
E gli oziosi oratori, al mulino! Fra i mugnai!
A girare le macine con l’acqua dei discorsi.
(Vladimir Majakovskij, 1918)
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