Negli ultimi difficili mesi le piattaforme social, e non solo, sono state sommerse da teorie infondate, affermazioni senza costrutto, fake news e attacchi a personalità stimate nel loro campo professionale. Un florilegio di delirante dimostrazione di quanto il complottismo stia dilagando, a più livelli, nella nostra società.
Prima di inoltrarci in questo viaggio “epifanico” verso un fenomeno così esteso e complesso, occorre fare una distinzione tra i due elementi presenti nel titolo, in quanto, nonostante spesso siano utilizzati come sinonimi, esiste una differenza fondamentale che si può riassumere in questa formula: le congiure esistono e sono reali, anche se spesso falliscono. I complotti invece sono delle fantasie letterarie, delle costruzioni fantastiche che non rispondono a nulla di reale.
Le congiure hanno come origine un patto segreto (conjurare = cum jurare, giurare insieme) attraverso il quale le persone coinvolte giurano di non rivelarne il contenuto. Va da sé che la stessa parola implichi il coinvolgimento di poche persone fidatissime, tutte protese allo stesso scopo. Il fatto è che, come spiega benissimo Umberto Eco in una Lectio Magistralis all’Università di Torino, “La caratteristica dei complotti reali è che essi vengono immediatamente scoperti, sia che abbiano successo, vedi Giulio Cesare, sia che falliscano, vedi il complotto di Orsini per uccidere Napoleone III o il cosiddetto complotto dei forestali di Junio Valerio Borghese o i complotti di Licio Gelli”. E il motivo dell’inevitabile scoperta si può individuare in due ordini di fattori: “Per quanto riguarda complotti e segreti, l’esperienza (anche storica) ci dice che (1) se c’è un segreto, anche se fosse noto a una sola persona, questa persona, magari a letto con l’amante, prima o poi lo rivelerà (solo i massoni ingenui e gli adepti di qualche rito templare fasullo credono che ci sia un segreto che rimane inviolato); (2) se c’è un segreto ci sarà sempre una somma adeguata ricevendo la quale qualcuno sarà pronto a svelarlo”.
In sostanza, mentre le congiure hanno una base storica reale, sono architettate e messe in opera da soggetti concreti, hanno un fine ben delineato, rivolto verso un rappresentante o più rappresentanti del sistema che si vuole colpire e si svolgono in contesti ben determinati, i complotti hanno origini fumose e inconsistenti, tentano di spiegare eventi tragici o traumatici attraverso fantasie letterarie e concetti astratti, cercano di dare un senso logico a elementi casuali e attribuiscono responsabilità a non ben definiti gruppi di potere (i Savi di Sion, i Gesuiti, Bilderberg) spesso inesistenti o a cui è impossibile ottenere un riscontro oggettivo.
Quali sono le origini storiche, sociali e anche psicologiche del complottismo?
A quanto pare, accompagna l’uomo dalle sue prime forme aggregative e più queste si evolvono nella storia, più il complotto assume una rilevanza sociale: “La teoria cospirativa della società risiede nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno. Questa concezione… deriva, naturalmente, dall’erronea teoria che, qualunque cosa avvenga nella società – specialmente avvenimenti come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti. Nelle sue forme moderne esso è… il tipico risultato della secolarizzazione di una superstizione religiosa. La credenza negli dèi omerici le cui cospirazioni spiegano la storia della guerra di Troia è morta. Gli dèi sono stati abbandonati. Ma il loro posto è occupato da uomini o gruppi potenti – sinistri gruppi di pressione la cui perversità è responsabile di tutti i mali di cui soffriamo – come i famosi savi di Sion, o i monopolisti, o i capitalisti o gli imperialisti”. (Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, 1940)
Le teorie del complotto, dunque, sarebbero generate da un disagio diffuso, l’incapacità o, se vogliamo, il non voler ammettere che nel mondo le cose accadono al di fuori della nostra volontà. Quando ci sono eventi drammatici, come guerre, carestie, pandemie, attentati, oppure bruschi cambiamenti storici, politici o economici, ecco che subentra il senso d’angoscia, la percezione di essere esposti alla casualità di eventi che non si possono controllare; occorre un capro espiatorio su cui riversare il senso di frustrazione e non importa se questo abbia un fondamento oggettivo.
Quello che risulta socialmente rilevante ai giorni nostri, è che la mentalità complottista non permea, come si sarebbe portati a credere, solo i regimi polizieschi e totalitari dove vige un clima di paura e diffidenza, ma va diffondendosi sempre di più nelle democrazie avanzate. Per definizione esse sono sistemi politici caratterizzati dalla trasparenza, dalla libertà di pensiero e dalla partecipazione, eppure molti cittadini sono convinti che anche in questi regimi ci siano delle zone d’ombra e il potere politico viene percepito come minaccioso e pericoloso; e poiché la democrazia è una struttura complessa e spiegare la verità è altrettanto complesso, il complottismo ricorre a meccanismi mentali che semplificano e deresponsabilizzano.
Pasolini una volta ha detto che “il complotto ci fa delirare perché ci libera dal peso di doverci confrontare con la verità”.
A contribuire a questa falsa percezione della realtà, intervengono diversi strumenti che facilitano, a volte anche in maniera incolpevole, la diffusione di teorie infondate e a cui i moderni seguaci attingono come da una fonte di postulati assoluti: cinema, letteratura, videogiochi e, soprattutto, il web.
Nel cinema diverse opere si approcciano alle teorie complottiste. Solo per citarne alcuni: il film Capricorn One di Peter Hyams del 1978, che sfrutta il tema del complotto sullo sbarco dell'uomo sulla Luna, o JFK - Un caso ancora aperto di Oliver Stone del 1991, sull’uccisione del Presidente Kennedy; e ancora Ipotesi di Complotto del 1997, diretto da Richard Donner, che ha come protagonista una persona disturbata che vede complotti ovunque e, infine, The Manchurian Candidate del 2004 in cui i fa riferimento ai tentativi del governo americano di utilizzare il lavaggio del cervello come strategia politica con esperimenti governativi della CIA.
Tra i libri troviamo uno dei romanzi più acclamati che tratta di temi cospirativi, Il pendolo di Foucault (1988) di Umberto Eco e tra gli altri autori che hanno trattato temi cospirativi vi sono Philip K. Dick e Robert Ludlum. C’è perfino chi intravede nelle diverse storie del Ciclo di Cthulhu di Howard Phillips Lovecraft dei collegamenti a una cospirazione.
I videogiochi forniscono diversi spunti che in alcuni casi vengono utilizzati nella realtà, come la serie Metal Gear Solid (1998) che contiene un misterioso gruppo noto come "The Patriots" (I patrioti), che manipola la politica statunitense, termine che viene utilizzato dal movimento QAnon per fomentare i propri seguaci; nella serie di videogiochi Assassin's Creed ci sono numerosi rimandi alla teoria del complotto. Il mondo, infatti, è controllato segretamente da due gruppi, ovvero i Templari e gli Assassini, mentre in quella di Resident Evil l’azienda che crea il T-virus ne combina di tutti i colori per mantenere il controllo e il potere.
Vale la pena approfondire l’impatto che ha il web sul fenomeno del complottismo, perché negli ultimi anni si è rivelato uno strumento di diffusione enorme, generando fenomeni di aggregazione, intorno alle teorie più disparate, inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Il luogo centrale di questa immensa Agorà virtuale è occupato dai social, utilizzato da molti non per informarsi e approfondire, ma per il gusto di raccogliere quella parte d’informazione che attiene alla riservatezza altrui. La libertà percepita e la massima visibilità permettono di sentirsi autorizzati a vedere e giudicare a prescindere dai complessi riscontri che occorrerebbero per essere non nel “giusto” bensì nel corretto; a tutto questo si aggiunge la propensione alla critica feroce e alla litigiosità, che nessuno a mente fredda rivendica ma che, nei fatti, molti praticano abitualmente. In questo contesto di cultura del sospetto e visione paranoica delle relazioni sociali s’innestano e prolificano movimenti ideologici come i no-vax, i terrapiattisti e lo pseudo politico QAnon, che offrono un efficace tonico dello spirito, un surrogato alla dimensione ansiogena che si crea quando la crisi della politica partecipativa e la trasformazione degli assetti sociali ed economici producono vuoti dell’esperienza concreta.
In particolare, QAnon nasce e cresce all’interno di una feroce lotta culturale non tra destra e sinistra, ma all’interno della destra estrema, opponendosi al neoconservatorismo come Alternative Right; quindi legittimazione del localismo contro la globalizzazione, secca riduzione del potere pubblico e delle istituzioni a favore del controllo di vicinato, soprattutto attraverso forze dell’ordine elette dai consigli della popolazione locale, esaltazione del nazionalismo e, innanzi tutto, affermazione di una collettività in grado di proteggere sé stessa al contrario di quanto facciano le élite dirigenti. I seguaci di QAnon usano frequentemente due modelli espressivi. Il primo di essi è, per l’appunto, il rimando al «risveglio», inteso come un soprassalto di consapevolezza, Il secondo rinvia alla parola «patriota», che negli Stati Uniti ha da sempre una grandissima diffusione e che è legato alla difesa del territorio e dei valori nazionali e, di conseguenza, all’ostilità verso ciò che è “straniero”: chi viene da fuori porta disordine, perversione e immoralità.
Da puntualizzare che però, proprio perché è un coacervo di mentalità, slogan e antisemitismo, cioè ideologia, QAnon non è qualcosa di strutturato e stabilmente organizzato; è per questo che oggi è sostanza fluida, pensiero diffuso, trend fluttuante, poiché, come sostiene il professor Claudio Vercelli, storico e studioso della Shoa “è il web stesso a garantire non solo il contenitore in cui scaricare pulsionalità deliranti ma anche a raccoglierne la loro legittimazione collettiva”.
È interessante, a questo punto, soffermarci su come vengano diffusi nel web, e in particolare sui social, tali pulsioni deliranti dai gruppi complottisti; in un tale contesto, è il meme lo strumento fondamentale delle teorie cospirative. Esso ha in sé gli elementi utili per diffondere le teorie complottiste: la ripetizione illimitata dei contenuti, la creatività di chi li produce, la tracciabilità, che attraverso le condivisioni sistematiche permette di creare una catena, e la diffusività, in quanto l’utente non dice nulla di chiaro, ma si esprime in termini sibillini, criptici, iniziatici, allusivi, facendo in modo che i drops, o «briciole» che pubblica, siano diffusi da altri utenti. La rete diventa strategica in quanto non solo permette, attraverso il meme, la condivisione e la costruzione di catene mediatiche che fluttuano in autonomia, ma anche, in assenza di un’origine certa e basata su fatti concreti, di non distinguere il reale dall’immaginario, rendendo impossibile smontare le teorie esibite con risposte razionali e di buon senso, anche se corredate da riscontri affidabili. Riprendendo ancora una volta le parole del professor Vercelli “Sono comunque armi spuntate, poiché il complotto si basa su una linearità argomentativa che è a prova di qualsiasi riscontro”.
A questo punto del viaggio, la domanda che ci si pone è: qual è la struttura psicologica del complotto? Esiste una base patologica che innesca il contorto meccanismo della credulità?
Alla luce di diversi studi, si può affermare che esistono tre dinamiche psicologiche:
La prima è che il complotto è innanzitutto uno status.
Chi aderisce e denunzia teorie complottiste non le verifica perché si sente soddisfatto, in quanto l’utilizzo di queste ultime gli dà la possibilità di essere, forse per la prima volta, al centro dell’attenzione nella sua cerchia di conoscenze, di avere un ruolo nel proprio gruppo. Il complotto gli fornisce lo status di “salvatore”, di colui che informa i poveri disinformati che si lascerebbero manipolare da chissà quali organi nascosti. Va da sé che questo gratifica l’ego, permettendo di uscire dall’anonimato.
La seconda è che il complotto è un sintomo psicologico.
Il complottista può essere una persona ben adattata nel contesto sociale in cui vive e avere anche buone relazioni, ma le sue modalità di ragionamento derivano da una logica persecutoria, basata sul sospetto, sulla sfiducia verso il prossimo e dai tratti paranoici, per cui spesso un’idea è talmente radicata che resta tale anche dinanzi alla logica più schiacciante o ai fatti.
La terza è che il complotto è un meccanismo di difesa.
Quando si ha paura di qualcosa che non si è in grado di controllare, in particolare quando questa cosa appare misteriosa e oscura alla singola capacità di discernere, intervengono meccanismi inconsci di difesa, come darle un nome, segnarne dei confini, attribuirne le responsabilità. Abbiamo già parlato di come i complottisti individuino gruppi di potere indefiniti, come i “poteri forti”, I Savi di Sion, i Gesuiti, come capro espiatorio di eventi drammatici e di cambiamenti sociali e politici. Ora, identificare il “problema”, attribuirgli un’identità, permette di avere qualcosa di concreto su cui avere il controllo e combatterlo. In altri casi invece lo si nega, credendo così di rimuoverlo dalla realtà.
Un esempio eclatante è la questione “coronavirus” che ha visto schierati i complottisti più accaniti impegnati nella ricerca dell’origine e della natura di questo virus.
“Non esiste”, dice qualcuno; “lo hanno costruito”, dice qualche altro, ecc.
Affermazioni anche contraddittorie tra loro, ma che hanno in comune il fatto di aver identificato la cosa contro la quale dover combattere. “Se posso prendermela con qualcuno, ho l'illusione di poter fare qualcosa!”.
Il complottismo, quindi, è un modo di essere disfunzionale, che affonda le sue radici nella fragilità emotiva, nell’incapacità di affrontare un evento che potrebbe minacciare la visione e la pianificazione della vita ed è alimentato dalla paranoia e da una sorta di narcisismo che trae gratificazione dall’essere messaggeri di verità assolute nascoste ai più.
Si potrebbe concludere che il complottismo abbia radici patologiche psichiatriche e, in parte, è vero; ma c’è chi sostiene, come lo psichiatra e psicoterapeuta Giampaolo Salvatore, che ci siano delle differenze: “Diciamo che il complottismo è una forma di paranoia parafisiologica, presente in grado variabile nell’essere umano e pure etologicamente fondata. Però per me pensare a questa continuità tra paranoia e complottismo è allo stesso tempo un invito forte a cercare le differenze tra le due”.
Secondo Salvatore, mentre la paranoia è una psicosi in cui il malato percepisce l’oggetto della paranoia come dominante e sé stesso in una posizione subordinata e vulnerabile, il complottista brandisce una “paranoia-giocattolo” solo per alimentare una forma di autocompiacimento: “Il paranoico è egocentrico, e per lui questo egocentrismo è fonte di tortura; il complottista è egotista, e per lui questo egotismo è fonte di gratificazione”. C’è, poi, un’altra differenza. I pazienti dello psichiatra affetti da paranoia hanno chiesto aiuto, sopraffatti dalla loro diffidenza, sfiancati dalla carica ansiogena che caratterizza la loro vita fino a renderla impossibile. Il complottista, invece, non chiederà mai aiuto, convinto di appartenere a una categoria di persone superiore e depositario di una consapevolezza che altri non potranno mai raggiungere, finalmente emerso da quella massa informe e mediocre che Orwell definiva con disprezzo prolet.
Cosa si può pensare del complottismo, cosa si è imparato? È solo un fenomeno folcloristico della rete che si riduce in un’accozzaglia di menzogne, una serie di fantasiose elaborazioni che seguono gli umori e la fluidità dei social, oppure è un catalizzatore di ideologie pericolose che, attraverso la critica ai “poteri forti” e asserendo l’azzeramento di qualsiasi gruppo di mediazione istituzionale, si adopera in realtà a legittimare regimi totalitari?
È indubbio che lo stile di vita distorto del complottista e il sentimento di onnipotenza orientato verso l’inganno di sé stessi possono diventare pericolosi anche per la comunità, quando le connotazioni più suggestive di questo approccio esistenziale spingano a scelte azzardate.
E i fatti di Capitol Hill ne sono stati un esempio inquietante.
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