Come si chiamano gli amici di Rocco? Dove abitava la moglie Marina prima di sposarlo? Chi è Gabriele, l'adolescente che abita col vicequestore? E da quand'è che Schiavone lavora alla questura di Aosta? Tutto quello che avreste voluto sapere sul personaggio del poliziotto trasteverino nato dalla penna di Antonio Manzini e interpretato per la TV da Marco Giallini. Buona lettura...
Sebastiano Cecchetti (a volte Carucci, il cognome della madre, come si specifica in Vecchie conoscenze): compagno di Adele Talamonti (Anna Ferzetti nella serie tv) e amico di Schiavone dai tempi della scuola. Alto, grosso, la barba sempre lunga e i capelli neri ricci e spettinati, Sebastiano è un Ursus arctos horribilis, brutto nome per indicare il grizzly, nella classificazione zoologica mentale del vicequestore: cui da bambino il padre ha regalato l'Enciclopedia degli animali, inducendolo a scovare somiglianze con l'animale di pertinenza praticamente in ogni nuova persona in cui s'imbatte.
Placido, bello, grosso, ma molto, molto pericoloso, nei ricordi di Schiavone (che tuttavia adesso scorge negli occhi dell'altro una nostalgia curiosa...) Seba era uno che si lamentava sempre: “Da quando lo conosceva, dal primo giorno delle elementari. Il fiocco era di nylon e puzzava. Il colletto troppo rigido segava il collo, le copertine del sussidiario si staccavano... E pure il Padre Nostro che sei nei cieli, recitato ogni mattina prima delle lezioni, era troppo lungo e non capiva la storia di 'rimetti a noi i nostri debiti'”. Nella serie tv è interpretato da Francesco Acquaroli.
Brizio Marchetti, il bello, che chiamavano Alanford, roscio e coi baffi da polacco, titolare di un'agenzia immobiliare - che più che altro serve da copertura - e marito di Stella, altra amica d'infanzia (la cui madre faceva girare la testa a tutta Trastevere ed è più volte ricordata come l'incontrastata regina dell'immaginario erotico degli adolescenti Rocco e Brizio). Donnaiolo seriale e abilissimo giocatore di poker, in Fate il vostro gioco interviene, su richiesta di Schiavone, a vendicare l'agente Italo Pierron da un gruppetto di falsi amici, che lo deruba da mesi giocando con carte truccate.
Nella versione tv è interpretato da un meno fascinoso ma intenso Tullio Sorrentino, protagonista in Pulvis et umbra d'un tesissimo scambio con Schiavone, sospettato di complicità nell'arresto di Sebastiano: “Io de Rocco me fido e lo farò sempre. Ma sei pure il vicequestore Schiavone, e questo non lo puoi cancellare... Se sei un'aquila voli, amico mio, se sei un cavallo trotti. E né io né te possiamo farci niente”.
Furio Lattanzi, magro e senza capelli con gli occhi greci che sembravano sempre truccati, ghepardo quanto l'altro è orso, ladro professionista e unico del gruppo a non avere una relazione fissa. In Non è stagione di Manzini è lui a suggerire all'amica Adele Talamonti, da tempo in crisi con Sebastiano, di sparire per un po' dalla circolazione raggiungendo Schiavone ad Aosta, per suscitare la gelosia del compagno e rinverdire la passione, opacizzata dagli anni e dalle divergenze caratteriali: suggerimento che sarà poi causa di uno scambio di persona dal tragico epilogo (10 maggio 2013).
Pure lei d'estrazione borghese e benestante (lavora con i genitori nel bar di famiglia, il Bar Settembrini di via Settembrini, in Prati), Adele paga quindi in prima persona l'affetto per questo gruppetto di moschettieri. Al pari della stessa Marina, la moglie di Schiavone (i cui genitori Laura e Camillo condividono un appartamento in via Topino, nel quartiere Trieste).
Nella serie tv, Furio è interpretato da un irsuto Mirko Frezza, che fisicamente ricorda invece molto di più l'orso Sebastiano dei libri di Manzini.
Colpi alla porta personalizzati degli agenti della questura di Aosta per annunciarsi all'ufficio di Schiavone: tre colpi rapidi Italo Pierron, un solo colpo forte e deciso Antonio Scipioni, svariati tocchi leggeri e incerti Deruta o D'Intino. Ammazza la vecchia col Flit, Casella; due colpi distanziati la Rispoli.
Schiavone è nato a Trastevere, vicolo del Bologna, “in quell'appartamento a piano terra” dove sono nati anche i genitori e i nonni e dove pure la culla è sempre la stessa da tre generazioni, “un cassetto del settimino di nonna buonanima” (cfr. Cinque indagini romane per Rocco Schiavone).
Alberto Fumagalli, l'eccentrico anatomopatologo livornese. Dopo un inizio un po' in salita, stringerà con Schiavone una profonda amicizia, aggiudicandosi una delle rarissime dichiarazioni d'affetto del vicequestore (“Sei una persona preziosa. E ringrazio Dio di averti trovato qui. Senza di te, le cose sarebbero molto più difficili”).
I due condividono un laconico rituale che prevede la reciproca assenza di saluti (ci s'incontra sulla scena del crimine e ciao: si passa direttamente alle osservazioni sul morto ammazzato di turno) e le periodiche scommesse su quanti secondi l'agente Pierron ce la faccia a restar vigile alla vista dei cadaveri, prima di crollare esanime sul pavimento dell'obitorio. Nella serie tv Fumagalli è interpretato da Massimo Reale.
Un inizio in salita del resto caratterizza anche il rapporto del patologo con la palermitana Michela Gambino, il nuovo commissario della polizia scientifica, che a partire da Pulvis et umbra sostituirà in pianta stabile ad Aosta il precedente (e non in sede) dottor Farinelli. Sui quarant'anni, capelli lisci e scuri, il viso di una bimba e gli occhi neri, grandi e vivaci, la Gambino - che compare in scena alla guida di una ZAZ Zaporozhets 968 verde, traballante e mangiata dalla ruggine - si rivela fin dal primo istante un'instancabile dispensatrice di teorie complottistiche.
Tutte o quasi imperniate sulla fantomatica esistenza del club dei 300, i trecento personaggi più potenti della Terra capeggiati dalla regina Elisabetta II: che “tempo vent'anni saranno riusciti a ridurre la popolazione da 7 miliardi a poco più di 500 milioni. Resteranno i ricchi, i potenti, quelli che contano e una manciata di schiavi”.
All'inizio detestata dal sanguigno Fumagalli, comprensibilmente disorientato dalla nuova collega e indispettito dalla sua ostentata meticolosità, la Gambino in seguito s'invaghirà, ricambiata, del patologo: complice anche l'outfit altamente seduttivo sfoderato dalla donna per la serata al Casinò (Fate il vostro gioco). Nella serie tv è interpretata da Lorenza Indovina.
Frutto delle nozze lampo con Zanna Bianca, il lupo cecoslovacco di Federico, un amico di Michele Deruta (che quindi diventa consuocero di Schiavone...), nel finale de Le ossa parlano Lupa, la meticcia adottata dal vicequestore in Non è stagione, diventerà mamma orgogliosa di tre cuccioli, un maschio e due femmine, Oberon, Porzia e Nerissa. Nomi shakespeariani che gli trovano insieme Rocco e Marina, che nell'occasione svela al marito anche il nome che avrebbe dato alla figlia se ne avessero avuta una - Sofonisba, come “Sofonisba Anguissola, una grande pittrice del '500” - suscitando l'orripilata reazione di lui (“Sofonisba Schiavone, sembra un eritema”).
Tecnica attendista e fiaccante sviluppata da Furio Lattanzi (Vecchie conoscenze), il d'altrondismo consiste nel ribattere con un massimo di tre d'altronde... agli sproloqui altrui (“Al terzo d'altronde di solito il lamentoso si spegneva”). Consigliata in particolare quando un conoscente deplora le magagne del suo rapporto di coppia: “Niente di più noioso, dannoso e avvilente che ascoltare le problematiche sentimentali, e allora Furio aveva scoperto che quella semplice locuzione avverbiale aveva il potere di placare il piagnucoloso perché non contraddiceva, anzi, era un muro di gomma contro il quale i lamenti si spegnevano, si sublimavano, diventavano aeriformi”.
Nella graduatoria personale di Schiavone, intollerante di ricorrenze e feste comandate, al primo posto delle peggiori date del calendario c'è “il suo compleanno, che lui odiava in maniera totale, violenta, omicida... Già a sei anni, quando giocava per le strade di Trastevere, poteva spaccare teste e setti nasali se un amichetto o un parente gli avesse fatto i fatidici auguri il 7 di marzo”. Seguono la Pasqua (che “non arrivava mai lo stesso giorno, cambiava ogni anno, e questo la rendeva imprevedibile e micidiale come un killer professionista”) e il Capodanno. Tra i giorni più belli invece il primo gennaio, nessuno per le strade, nessuno nei negozi, tutti a dormire gonfi di cibo e vino da supermercato... e lui solo, a Ostia a passeggiare sulla spiaggia (Cinque indagini romane per Rocco Schiavone).
Nella sua prefazione a Cinque indagini romane per Rocco Schiavone, la raccolta di racconti che vede il vicequestore ancora a Roma ma già in attesa del trasferimento (la spada di Damocle che gli penzolava sulla testa), l'autore spiega che il protagonista “sapeva che prima o poi avrebbe dovuto lasciare la città eterna, ma non sapeva per quale destinazione” e aveva buttato giù una graduatoria delle preferenze: “Milano al primo posto, poi Venezia, poi Genova”. Nessuna menzione per Aosta, destinazione effettiva: “Non risultava neanche all'ultimo posto. Non per cattiveria o antipatia. Semplicemente Rocco non ci aveva pensato. Non gli era venuto in mente. Non sapeva neanche dove si trovasse esattamente quella città. Da qualche parte sopra Torino. A dirla tutta, neanche sospettava ci fosse una questura”.
La fondamentale e talora fastidiosamente incompresa differenza tra mecojoni e sticazzi, Articolo 7 della Costituzione romana: “Allora, bisogna che qui al nord cominciate a imparare l'uso esatto dei termini e delle locuzioni romane. Sticazzi si usa quando di una cosa non te ne frega niente. Per esempio: lo sai che Saint-Vincent ha 4.000 abitanti? Sticazzi, puoi dire. Cioè, chissenefrega. Come lo usate voi, Italo, è sbagliato. Devi cercare un ago in un pagliaio? Allora devi dire: mecojoni! Mecojoni indica stupore, lo usi per dire: accidenti! Capisci la differenza Italo?... Hai appena imparato l'articolo sette della costituzione romana che recita: uno sticazzi al momento giusto risolve mille problemi” (Pulvis et umbra).
Nora Tardioli (Pista nera), ha una boutique di abiti da sposa nel centro di Aosta. Curve generose, capelli castani lunghi e lisci, viso bianco come la panna e occhi neri come due olive pugliesi appena colte dall'albero, la Tardioli è la prima ad avere una storia più o meno seria con Schiavone (“l'uomo con la faccia spiegazzata”) fedelmente incarnato da Giallini. E per conseguenza è anche la prima a lasciarlo, dopo il fallimentare compleanno trascorso insieme e il tradimento di Rocco con la sua migliore amica, la pittrice Anna Cherubini. Nella serie tv è interpretata da Francesca Cavallin.
Anna Cherubini (La costola di Adamo): migliore amica di Nora Tardioli e sua diretta rivale nelle attenzioni del vicequestore. Quarantenne molto ben messa, con gli occhi da lupo, le gambe magre e muscolose e il seno bianco e burroso, ha una tempestosa relazione con Schiavone dopo averlo soffiato all'amica.
Pittrice di scarso talento, insicura, irrisolta, è protagonista, in Non è stagione, di un memorabile confronto col poliziotto al bar di piazza Chanoux (“Hai 42 anni, ma dici di averne 38. Hai ritoccato il seno, leggermente le labbra superiori perché fumavi e ti si stavano raggrinzendo. Sei stata sposata due volte e non hai retto nessuna delle due. Ti fai mantenere dall'architetto Pietro Bucci-qualcosa. Avresti voluto lasciare il segno. Dipingi nella tua stanza ma i tuoi quadri, a parte la carta da parati di casa tua, alla quale lasciatelo dire assomigliano, non li ha mai visti nessuno. Attacchi per prima e ti chiudi a riccio, tradisci un'amica e trovi una scorciatoia per non sentirti una merda, dai ultimatum che non rispetti...”), confronto concluso col bicchiere di Blanc de Morgex tirato in faccia al vicequestore prima d'andarsene. Per Schiavone è il secondo bicchiere in faccia, anche la Tardioli aveva chiuso così la storia col poliziotto. Nella serie tv è interpretata da Marina Cappellini.
Caterina Rispoli, ispettore alla questura di Corso Battaglione Aosta. All'inizio solo una divisa coi capelli corti per il malmostoso vicequestore in forze ad Aosta dall'8 settembre 2012, che in Pista nera vede il suo sorriso per la prima volta dopo 120 giorni e capisce che sotto le mostrine e le scarpe d'ordinanza c'è una donna.
Ventiquattro anni, con gli occhi grandi e le palpebre un po' calate, le guance spruzzate di lentiggini e la bocca, piccola e carnosa, sempre pronta al sorriso, i capelli biondi e sul naso una minuscola gobba, lieve imperfezione che le donava, è l'unica che riesca a spezzare il muro d'indifferenza che avvolge Schiavone dalla morte della moglie Marina, la giovane restauratrice uccisa nel 2007 durante un fallito attentato al poliziotto, e da allora fantasma gentile in perenne dialogo col vicequestore (Isabella Ragonese nella versione televisiva). Nella serie tv la Rispoli è interpretata dalla bruna Claudia Vismara.
Sandra Buccellato, cronista de La Stampa ed ex moglie del questore Andrea Costa, che dopo il divorzio ha preso a detestarla visceralmente assieme a tutti gli altri giornalai. All'inizio detestata di cuore pure da Schiavone per un certo che di frettoloso e accusatorio nell'interpretazione dei fatti, la Buccellato conquisterà progressivamente un altro tipo d'attenzione da parte del poliziotto, insidiando il primato della giovane Rispoli.
I due si parlano per la prima volta in Pulvis et umbra, incontrandosi al solito bar di piazza Chanoux sotto lo sguardo complice del barista Ettore, da tempo al corrente dell'avversione di Schiavone per la giornalista. Lei indossa un tailleur color pesca e ha un bel profilo, i capelli pettinati, due orecchini di perle, gli occhi scuri impreziositi da un filo di eyeliner. Nella serie tv è interpretata da una felina, stregonesca Valeria Solarino.
Lada Cenestav, Cedstajeva, Cenestajeva, vabbè chissenefrega, tanto è un nome finto, compagna dell'anziano imprenditore Guido Roversi (Fate il vostro gioco, Rien ne va plus). Trent'anni per un metro e settanta d'altezza, gli occhi due pezzi di ghiaccio azzurri a mandorla e una chioma bionda e folta raccolta in uno chignon, ha una breve e utilitaristica relazione con Schiavone, cui cerca di carpire informazioni circa l'indagine sull'assassinio di Romano Favre.
Cecilia Porta (Fate il vostro gioco e successivi), madre di Gabriele Dalmasso, il diciassettenne che abita nello stesso condominio dove s'è trasferito Schiavone dopo l'abbandono della casa di Rue Piave, e col quale il vicequestore finirà per sperimentare una sorta di paternità vicaria: “La prima cosa che colpiva del viso di Cecilia erano gli occhi. Verde bottiglia, grandi, tristi. La stessa tristezza disegnava le labbra, sottili, che sembravano scolpite in un sorriso amaro”.
Divorziata (il marito l'ha lasciata per la solita Sandra Buccellato), ludopatica, ex amante di un croupier del Casinò di Saint-Vincent, in Fate il vostro gioco la donna figura tra i principali indiziati per l'omicidio dell'ex ispettore di gioco Romano Favre, a causa di una prova fabbricata ad arte (quel Bic bianco con le sue impronte digitali lasciato a bella posta sul luogo del delitto).
Dopo l'arresto del vero colpevole, Cecilia, ormai sull'orlo del collasso economico, e il figlio Gabriele (che da tempo ha eletto il burbero vicino ad amico e confidente) verranno ospitati da Schiavone nel proprio appartamento: volenterosamente ridisegnato dal diciassettenne con un paio di paraventi giapponesi, dispensatori di un'illusoria parvenza d'intimità.
Pur non condividendo col vicequestore altro che questa temporanea convivenza, Cecilia e Gabriele regaleranno al tormentato protagonista quanto di più simile a una famiglia la vita possa adesso concedergli.
Nella serie tv la Porta è interpretata da Anna Bellato, mentre Carlo Ponti di Sant'Angelo è Gabriele.
Ad Aosta il vicequestore se ne becca almeno due. Il primo - appena accennato - in Pista nera da Annarita Pec, proprietaria del negozio di scarpe dove seppur solo temporaneamente Schiavone è costretto a sostituire le irrinunciabili Clarks numero 44 con un paio di scarponi. Sui 35 anni, alta, capelli bruni e zigomi sporgenti, un bel tipo femminile su cui s'era già fatto un certo progetto, la Pec rimbalza il vicequestore con aggraziato snobismo etnologico: “Roma deve essere meravigliosa... Sono i romani che non sopporto. E lì ce ne sono almeno un paio di milioni”.
Il secondo da Oriana Berardi, 45 anni ben portati, direttrice del personale al Casinò di Saint-Vincent, che in Fate il vostro gioco fornisce invece una dettagliata giustificazione della propria riluttanza: “La mia è una vita tranquilla e desidero lasciarla così. Tu hai tutta l'aria di somigliare a una bora triestina, e non sono attrezzata, né ho voglia di affrontarla”.
Schiavone ha stilato una personale classifica delle seccature o rotture di coglioni della vita, a partire dal sesto grado. In costante implementazione e aggiornamento, tale classifica vede appunto al sesto grado “i bambini che urlano nei ristoranti, i bambini che urlano nelle piscine, i bambini che urlano nei negozi, in generale i bambini che urlano. Poi le telefonate che offrono impossibili contratti-convenienza per luce-acqua-gas-cellulare, la coperta che scappa dal materasso e scopre i piedi in una fredda notte d'inverno e gli apericena. Al settimo grado c'erano i ristoranti lenti nel servizio, gli intenditori di vino e il collega che aveva mangiato aglio la sera prima. All'ottavo gli spettacoli che andassero oltre l'ora e un quarto, fare o ricevere regali, le macchinette dei videopoker e Radio Maria. Al non grado c'era l'invito a un matrimonio, a un battesimo, a una comunione o anche semplicemente a una festa. I mariti che si lamentano delle mogli, le mogli che si lamentano dei mariti. E al decimo grado, sul podio più alto delle rotture di coglioni, il massimo che la vita bastarda gli poteva propinare per rovinargli le giornate, regnava sovrano il caso di omicidio sul groppone” (La costola di Adamo).
Il villino all'Infernetto, vicino Ostia, nelle cui fondamenta Enzo Baiocchi è convinto si trovi il cadavere del fratello Luigi, freddato da Schiavone per vendicare la morte della moglie - uccisa per sbaglio al suo posto durante un attentato fallito - e poi sepolto sotto tre metri di terra con l'aiuto dell'amico Sebastiano. Spada di Damocle da sempre incombente sul capo del poliziotto, in Rien ne va plus andrà incontro a un imprevisto dissolvimento (con quegli scavi senza esito autorizzati da Baldi dopo le rivelazioni di Baiocchi), consegnando alle ultime battute della saga del vicequestore un incomprensibile mistero.
A parte quella, viscerale e accecante, che lo oppone agli imbelli agenti Deruta e D'Intino (soprannominati i fratelli De Rege), a causa di un trauma infantile Rocco ha una vera e propria intolleranza fisica per chi gira le pagine umettandosi i polpastrelli. Ne L'anello mancante, il vicequestore ricorda con inalterato orrore il gesto “che sua zia Annarella, aiuto pescivendola al mercato di piazza San Cosimato, eseguiva ieraticamente ogni volta che le capitava Oggi o Gente per le mani. Si sedeva con le spalle alla finestra e alzando le sopracciglia in tono altezzoso cominciava a sfogliare la rivista ciucciandosi il dito e fracicando il giornale... Le sue mani puzzavano perennemente di pesce. Quell'odore terribile di marcio tornava alle narici di Rocco ogni volta che qualcuno praticava il volta-pagina inumidito”.
Legati da un'ormai quarantennale comunanza d'affetti e abitudini, i quattro moschettieri vanno o meglio andavano a giocare a poker da Stampella e a cena alla trattoria Roma Sparita, dove ordinano perlopiù sempre la stessa cacio e pepe, mentre auspicano la proclamazione di Sandro Mazzola a patrimonio dell'umanità.
Colazione o aperitivo invece al bar di piazza Santa Maria in Trastevere: la stessa piazza dove Rocco vede per la prima volta Marina seduta a chiacchierare con le amiche sui gradini della fontana e decide, mentre il sole leccava i mosaici dorati della Basilica, che sarebbe diventata sua moglie.
Dopo il matrimonio i due andranno a vivere nello struggente attico con vista in via Poerio 12 (Monteverde vecchio, vicino ai genitori di Marina). Un bel salto per Schiavone, nato nel minuscolo appartamento di Trastevere vicino a via della Lungara dove il padre ha avviato la tipografia in società con l'amico Sabatino, il marito della sora Letizia. La stessa vecchina che adesso fa entrare il vicequestore dal suo terrazzino e poi direttamente per la finestra in casa di Sebastiano, che dopo l'arresto sta scontando i domiciliari e si rifiuta di aprirgli la porta.
Altri indirizzi: sempre a via della Lungara c'è la prima casa da scapolo di Rocco, in forze al commissariato Cristoforo Colombo dell'Eur dopo il servizio militare al Circolo Ufficiali (corso uno otto nove, aviere Schiavone, laureato in Giurisprudenza col minimo dei voti). Mentre all'inizio della sua permanenza ad Aosta il vicequestore abita a Rue Piave e poi in via Croix de Ville, nell'appartamento trovatogli da Italo e affittato al volo anche per sottrarsi all'alloggio di via Laurent Cerise, caldeggiato dal questore (e a un passo dalla questura).
Col breve interludio del soggiorno al residence Vieux Aosta nei giorni successivi alla scomparsa di Adele e quello all'albergo Santa Maria, a Trastevere (camera 62, primo piano), durante un malinconico ritorno a Roma.
Comunque della nuova casa in via Croix de Ville Schiavone, nel cui frigorifero c'è un'eco perpetua, apprezza soprattutto la vicinanza di almeno un paio di ristoranti di tutto rispetto tra cui il prediletto Al Grottino (“Mai avrebbe immaginato di trovare ad Aosta una qualità da costiera amalfitana... Lì dentro si respirava mare, sole e cielo”). Con la cospicua eccezione de La Grolla, il letargico ristorante scelto da Nora per festeggiare il suo compleanno e schivato dal vicequestore col pretesto di un'emergenza lavorativa, dopo ore di agonia tra antipasti e caffè.
La pizza invece Schiavone la ordina ad Ahmed della pizzeria Mizraim (il nome con cui gli ebrei chiamavano l'Egitto), l'unico egiziano che nun sa fa' la pizza. E colazione o aperitivo sempre da Ettore al bar di piazza Chanoux (con qualche sosta pure al chiosco vicino all'Arco di Augusto, dove a volte lo raggiunge l'ombra di Marina).
Cambiando ordinazione ogni giorno per scongiurare il rischio di un'insidiosa assuefazione (“Mai dalla sua bocca sarebbe uscita la fatidica frase: il solito! Significava arrendersi all'evidenza di essersi integrato, avere un'abitudine con quella città”).
Ed evitando i tramezzini, che pure loro ad Aosta non li sanno fa', soprattutto perché ignorano il fondamentale accorgimento di metterli a riposare sotto un panno umido per preservarne morbidezza e sapore: come recita l'Articolo 3 della Costituzione romana (i primi due: “Non andare in giro a rompere i coglioni” e “Mai fare in macchina il Lungotevere di sabato sera”).
La macchina appena quarantacinquenne della palermitana Michela Gambino, il nuovo commissario della polizia scientifica di Aosta (una ZAZ Zaporozhets 968 verde, traballante e mangiata dalla ruggine), si chiama Sfinciona (Le ossaparlano).
A parte la sofferta parentesi degli scarponi in Pista nera, Rocco indossa sempre le stesse scarpe, le Clarks (n. 44), sostituendole in continuazione per spappolamento da neve, e lo stesso soprabito, un loden verde, che quand'è in ufficio penzola dall'attaccapanni come la pelle di san Bartolomeo nella Cappella Sistina. Nelle rare occasioni sociali cui è perlopiù costretto a partecipare, opta in genere per un completo di velluto spiegazzato (con sotto sempre le immancabili Clarks).
Nato a Roma, nel rione Trastevere, il 7 marzo 1966, Schiavone fuma le Camel - pur scroccando spesso le Chesterfield che sanno di ferro a Italo Pierron - e guida una Volvo. Dopo le vicende legate all'omicidio della moglie non porta più la pistola; e getterà nella Dora la Ruger procuratagli di propria iniziativa dall'amico Furio, preoccupato per la sua incolumità (Era di maggio).
Nel finale di Non è stagione adotterà una cucciola, una piccola meticcia abbandonata tra la neve, chiamandola Lupa e dotandola dell'immaginaria razza Saint-Rhémy-en-Ardennes (“Quando un cane ti trova, lo devi tenere. Non è mai per caso se nella vita ne incroci uno. Te lo manda qualcuno”). L'Inno alla gioia di Beethoven la suoneria del suo cellulare.
Agucchiare, dilucolo, perspicuo, raspollo, inane, aduggiato, edonismo, epatta, metessi, eristalis: sono le parole annotate da Marina sul suo taccuino e per solito legate a momenti particolari dell'esistenza del vicequestore, cui la moglie le propone come una sorta di rompicapo. Abitudine di quando la giovane donna era in vita, continua a esserlo adesso che Marina non è più che uno spirito gentile, presente forse solo nell'immaginazione dell'inconsolabile Schiavone.
In 7/7/2007, Manzini fa pronunciare ai pensieri di Vittoria Livolsi, la nonna del ragazzo ucciso, una tenera e struggente ballata sulla casa di famiglia a via Urbino, quella casa che era stata sua e di Raffaele, e di sua madre e prima ancora di sua nonna, trasformata dalla nuora in un appartamento domotico che somigliava più a un concessionario che a una casa e avvilita da una colata grigia di cemento industriale che ha cancellato i vecchi pavimenti insieme ai ricordi. Non c'entra molto con Schiavone in senso stretto, ma per il suo dolente splendore vale comunque la pena di riportarla qui, anche perché se c'è uno che può capire il senso d'appartenenza connesso a un quartiere e a una casa - e il buco che si scava nel petto quando si viene strappati via - è proprio Rocco. “Anna aveva messo i pavimenti in cemento industriale, ma erano tanto belli i vecchi marmetti di casa, degli anni '20. Vittoria di quel lastricato conosceva tutte le mattonelle. Quella sbreccata, quella dove s'era sbucciato il ginocchio suo fratello, quella che si muoveva e la potevi alzare per nasconderci i pochi soldi che riusciva a risparmiare coi lavoretti. Niente, via! Anna voleva il cemento industriale. Una colata grigia su oltre cento anni di piedi, di scarpe di cuoio, zeppe di corda, le suole chiodate dei tedeschi, pantofole di Raffaele, pantofole dei bimbi. Anche il bagno aveva la vasca di zinco con le zampe di leone, dentro ci si erano lavate tre generazioni della sua famiglia, via anche quella! … Non la riconosceva più la casa della sua infanzia, quelle rare volte che Anna l'ammetteva a palazzo. Avevano buttato giù muri, distrutto porte, sfregiato finestre...”.
Schiavone non sopporta la squadra della Scientifica - come altri celebri investigatori della letteratura, del resto - e non nutre alcuna fiducia sulla sua capacità di portare a casa il risultato: “Con le loro ricerche minuziose, la terra sotto le scarpe, le gocce di sangue, le tracce di pelle sotto le unghie, mesi per avere un dna. Poi nella maggior parte dei casi tutta quella massa di peli nell'uovo formava un bel pellicciotto buono solo per la discarica comunale. Nella sua decennale esperienza se era riuscito a mettere le mani su un assassino era sempre grazie a testimoni oculari, ai parenti delle vittime e dal 1995 ai cellulari. Quelli parlavano più di un informatore anonimo” (Cinque indagini romane per Rocco Schiavone).
“Nei lontani tempi del liceo Rocco aveva letto che un filosofo, forse Hegel, aveva definito il giornale la preghiera laica del mattino. Per lui invece era rollarsi una canna d'erba che lo rimetteva in pace con la vita e con lo stare così lontano da Roma da ormai quattro mesi” (Pista nera). Già preparati e belli gonfi, gli spinelli Schiavone li tiene direttamente in ufficio, in una scatola di legno chiusa a chiave nel primo cassetto a destra della scrivania (la chiave, sotto la foto incorniciata di Marina).
Rocco non ama cucinare - come la moglie Marina, d'altronde, che in 7/7/2007 invita a cena amici e colleghi di lavoro acquistando sotto casa tutto il menù - e detesta ricette e chef (ottavo livello pieno nella graduatoria). Tuttavia Era di maggio registra una delle rarissime incursioni culinarie del vicequestore, che si perde a illustrare la ricetta dei filetti di baccalà a un incomprensivo Pierron: “Il baccalà lo sai cos'è? Quello salato. Una volta a Roma lo mangiavamo solo a Natale. Nonna per esempio, lo preparava coi carciofi fritti. Che dovresti saperlo sono l'articolo 4 della Costituzione romana... Tornando ai filetti di baccalà... lo sai il trucco per farli come Dio comanda? Dipende da come togli il sale dal baccalà. Nonna lo toglieva con il latte, mica con l'acqua. Lo teneva quasi tre giorni a mollo!... Se si tiene il pesce nell'acqua per meno di 48 ore il baccalà resta salato e non serve a niente. Invece deve stare a scolare con pazienza, finché non diventa tenero. Allora lo friggi. Capito, Italo?”.
Lo specchietto girevole che la moglie Marina usava per togliere il trucco e depilarsi le sopracciglia, l'unico ricordo che Schiavone porterà con sé dopo la vendita dell'attico in via Poerio 12 (assieme al portachiavi comprato tanti anni prima durante una vacanza in Provenza, una cicala gialla e nera): “In quell'ovale di vetro ci si era specchiata tante volte... e Rocco immaginava che, se avesse guardato bene, dietro i bordi, avrebbe trovato ancora il viso di sua moglie”.
“Le foto di Marina al mare... Quelle dei suoi amici di Trastevere, qualche diploma, l'encomio per un caso risolto, un trafiletto di giornale, le lettere del questore che lo minacciava di trasferimento. E soprattutto l'ultimo sacchetto di maria che non era riuscito a fumarsi, magari per l'enfisema o un cancro devastante”, per Rocco i soli ricordi che meriterebbero di trovar posto negli scatoloni dopo la sua morte (Cinque indagini romane per Rocco Schiavone).
Chiacchierando con Baldi, a un certo punto Schiavone si confessa afflitto dalla sindrome di Atlante, ovvero la tendenza a portare tutto il mondo sulle spalle (Le ossa parlano).
Un lupo cecoslovacco è l'animale totem imprevedibilmente affibbiato al vicequestore - “Ma non il viso, per come cammini e ti muovi. La tua faccia non mi suggerisce nessun animale” - da Italo Pierron, da tempo al corrente dell'inclinazione di Schiavone all'individuazione di somiglianze col regno animale (“Mi hai sempre detto che somiglio a una faina. E ogni tanto la faina viene beccata nel pollaio, è solo questione di tempo”). Del resto già in Vecchie conoscenze lo stesso Rocco, parlando con Fumagalli davanti all'ennesima vittima dissezionata, aveva confessato di sentirsi stanco “di gente che pensa a questa come ultima soluzione ai suoi problemi”, sottolineando implicitamente la propria vicinanza a quei “cani che fanno la caccia alla volpe” e che “a un certo punto smettono di correre. Fingono di essere parte integrante della muta, abbaiano, latrano, poi al via invece di inseguire la bestia si fanno una passeggiata per i campi. Qualcuno si perde e non torna più indietro. Ma non credo si smarriscano. Se ne vanno, tranquilli, rinunciano al cibo sicuro e a un riparo in cambio di una manciata di giorni di piena libertà perché a loro, la caccia, non li attrae più da tempo”.
Agente Italo Pierron, la donnola della questura di Aosta nel privatissimo bestiario di Schiavone: “Aveva ancora i lineamenti da ragazzo ma la bocca, che sembrava un taglio fatto con il bisturi sul viso, lo faceva sembrare più anziano di qualche anno... La testa era piccola e si muoveva a scatti. Il naso appena sporgente pareva stare sempre all'erta... Italo Pierron era una Mustela Nivalis Linnaeus. Meglio conosciuta come Donnola. Ne aveva già incontrate di donnole, ma tra le forze dell'ordine mai” (Pista nera).
Ombroso, insoddisfatto e perennemente a corto di soldi, assieme all'ispettore Caterina Rispoli Italo sarà il primo elemento della nuova questura col quale Schiavone riuscirà a stabilire un rapporto più profondo. Intollerante ai cadaveri, l'agente valdostano perde i sensi o vomita a ogni nuova visita alla morgue presieduta dall'anatomopatologo Alberto Fumagalli; e nei primi capitoli vivrà una breve e insoddisfacente relazione con la Rispoli, già adocchiata dal vicequestore e comunque lesta a liberarsi di lui. Nella serie tv Italo è interpretato da Ernesto D'Argenio.
Agenti Antonio Scipioni, Ugo Casella, Domenico D'Intino e Michele Deruta. Tutti in vario modo inadeguati e inefficienti con l'eccezione del primo, siculo-marchigiano, non a caso destinato ad assumere un ruolo sempre più incisivo nel corso della storia. E nell'ultimo Ah l'amore l'amore addirittura fresco della nomina a viceispettore e parzialmente facente funzioni in vece di Schiavone (in ospedale dopo un conflitto a fuoco).
E con la parziale eccezione pure del foggiano Ugo Casella (nato a San Severo), che andrà progressivamente ridefinendo e riscattando il proprio ruolo all'interno della squadra: mettendo a segno un significativo successo nel penultimo Rien ne va plus e venendo persino proposto per una promozione dal vicequestore.
Perennemente sotto pressione per via di quello che è a tutti gli effetti un doppio lavoro (prima d'arrivare in questura aiuta sua moglie al forno) e svantaggiato da un fisico in tragico sovrappeso a malapena sorretto dai piedini minuscoli, pure il sardo Deruta vivrà sul finale un personale trionfo. Rintracciando praticamente da solo - con la casuale partecipazione di D'Intino, come sottolinea Schiavone - il capannone tra i boschi dov'è stato nascosto il portavalori rubato (sempre in Rien de va plus).
L'unico a risultare coerentemente inetto fino all'ultimo (e persino pericoloso, per quanto suo malgrado...) resta dunque D'Intino, l'agente abruzzese nativo di Mozzagrogna. Che tra l'altro rimane pure l'unico continuativamente single fino all'ultimo capitolo: sebbene in chiusura accarezzi il sogno d'una storia d'amore con un'ex compagna di scuola, andata in sposa a un altro e insperatamente separatasi di recente.
Un tempo in coppia (la compagna l'ha lasciato per un rappresentante di mulinelli da pesca), l'ormai attempato Casella intreccerà invece una relazione con l'amata vicina del piano di sopra, ancora in Rien ne va plus. E anche Deruta è dotato appunto d'una moglie fornaia e pure di una figlia, che studia veterinaria (“Vi siete fatti il medico di famiglia”, è il sibillino commento di Schiavone). Attenzione, però, perché in Vecchie conoscenze Deruta sarà al centro di un colpo di scena sentimentale che com'è ovvio non è il caso di svelare qui. Mentre nell'ultimo Ah l'amore l'amore Scipioni apparirà invischiato addirittura in una storia a quattro con due sorelle e una cugina (“Guarda che farsi una famiglia non significa questo”, gli dice Pierron/D'Argenio, citando Troisi).
Nella serie tv Scipioni è interpretato da Fabio La Fata (prima stagione) e Antonio Lo Porto (seguenti), Casella da Gino Nardella, Deruta da Massimiliano Caprara e D'Intino da Christian Ginepro.
Andrea Costa, questore ad Aosta, tifoso del Genoa ed ex marito della giornalista Sandra Buccellato, che l'ha lasciato per un cronista de La Stampa guadagnandosene il perpetuo disprezzo. Costretto a confrontarsi periodicamente con lei e con gli altri giornalai durante le inevitabili conferenze stampa che costellano lo svolgersi delle indagini, Costa cerca perlopiù invano di trascinarci pure Schiavone (che in genere si disimpegna adducendo scuse ai limiti del fantastico). Nella serie tv è interpretato da un sanguigno Massimo Olcese.
Maurizio Baldi, procuratore e diretto superiore di Schiavone, col quale ha un rapporto di stima e fiducia minato da periodici accessi di disistima e sfiducia. Ciclotimico, ipercinetico, dispensatore seriale di soluzioni alle endemiche criticità della nazione (“Le sue idee andavano dall'acquisto all'estero di ministri e sottosegretari, un po' come fanno le squadre di calcio... fino all'eliminazione delle banconote”), ha una chioma bionda e fluente che lo fa somigliare a uno degli Spandau Ballet; e coltiva una precaria relazione con la propria stessa moglie, bellezza discreta la cui fotografia svanisce periodicamente nell'oscurità del cassetto, per poi ricomparire trionfalmente sul ripiano della scrivania o giacere a faccia in giù in una sorta di limbo (assieme a un paio di penne e a un vecchio calendario d'ottone fermo al giugno del 2005). Nella versione tv ha gli occhi chiari e il fisico massiccio di un eccellente Filippo Dini.
Costa e Baldi, entrambi a conoscenza del motivo del trasferimento ad Aosta del vicequestore (dopo averlo arrestato, Schiavone ha ridotto in fin di vita il giovane Giorgio Borghetti Ansaldo, stupratore seriale di ragazzine e figlio d'un sottosegretario agli Esteri, che dopo l'accaduto ha chiesto e ottenuto l'allontanamento del poliziotto), nutrono per Schiavone un sentimento d'ammirazione venato di diffidenza. Diffidenza che l'irrisolta vicenda legata all'assassinio della moglie Marina e ai tentativi di vendetta del pregiudicato Enzo Baiocchi non potrà che rafforzare.
Secondo Schiavone, Lupa, la cucciola d'incerta razza recuperata in mezzo alla neve e poi adottata in Non è stagione, “profuma di pop-corn. Soprattutto quando dorme”.
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