Tratta dal noir di Patricia Highsmith Il talento di Mr Ripley (già portato sullo schermo nel 1960 dal René Clément di Delitto in pieno sole, con Alain Delon nei panni di Ripley, e nel '99 da Anthony Minghella, con Matt Damon) e diretta da Steve Zaillian (premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler's List), ha debuttato su Netflix il 4 aprile scorso Ripley. La miniserie vede Andrew Scott nel ruolo del protagonista, Dakota Fanning in quello dell'amica americana Marge Sherwood e Johnny Flynn come Richard/Dickie Greenleaf, il nuovo ricco approdato in Italia per sottrarsi all'ingerenza paterna e ritagliarsi un'esistenza lontana dai gravami ereditari.
Ci sono poi Eliot Sumner nei panni di Freddie Miles, l'altro amico di Dickie in viaggio in Italia, e Maurizio Lombardi in quelli dell'ispettore Ravini (Roverini nel libro); Margherita Buy è la signora Buffi, tenutaria dell'appartamento di via di Monserrato dove Tom deciderà di stabilirsi a Roma. Cameo per John Malkovich (nei panni di un mercante d'arte), che nel ruolo di Ripley ha interpretato nel 2002 Il gioco di Ripley di Liliana Cavani, tratto da L'amico americano della Highsmith, che con Ripley protagonista scrive una saga di cinque volumi.
Tom: Andrew Scott (l'ineffabile Moriarty della serie su Sherlock Holmes con Benedict Cumberbatch) è il truffatore seriale Tom Ripley, sbarcato a Napoli su mandato del padre di Dickie Greenleaf, l'imprenditore di scafi Herbert, per riportare a New York il figlio, ormai da un paio d'anni ad Atrani (Mongibello nel libro, paese di fantasia sulla costiera amalfitana inventato dalla Highsmith). Tom, che a New York trascina un'esistenza desolante tra impieghi precari e piccole truffe, coglie l'occasione di sottrarsi alla situazione stagnante degli Stati Uniti e s'imbarca - con riluttanza, poiché detesta l'acqua e non sa nuotare - alla volta dell'Italia, scegliendo di non dissipare l'equivoco di partenza: lui e Dickie non si sono mai visti, e la loro presunta amicizia nasce da un'erronea segnalazione alla coppia Greenleaf da parte di amici comuni, nel libro, da uno scambio di persona innescato dal prestito di una giacca nel film di Minghella e, ancora, da un'errata attribuzione da parte di un conoscente comune nella serie di Zaillian.
Molto lunga - e forse eccessivamente dettagliata - la contestualizzazione del primo episodio (Un tipo molto difficile da trovare), con i raggiri ai danni dei contribuenti da parte del fittizio impiegato amministrativo George McAlpin: ma interessante la scelta registica di rappresentare il mondo visto dal protagonista come un luogo desertico, in sintonia con l'aplomb distonico di Ripley. Essenzialmente univoco, l'approccio esperienziale e cognitivo di Tom al mondo fa tornare in mente i gatti danzanti della sigla di coda di Inside/Out, che ballonzolano senza senso sulla tastiera del pianoforte inserendosi a pieno titolo nella distonia sociopatica e neutralizzando ogni possibile interazione (da gatto, nel Ripley di Scott, pure l'aspetto fisico, gli occhi chiari e freddi sotto il casco rilisciato di capelli neri alla Poirot, la nitidezza nel vestire, l'immobilità rilassata o vigile; più scarruffato il Ripley di Matt Damon, con la giacca di velluto spiegazzata e i capelli scompigliati, e di nuovo nitidamente gattesco il Ripley di Delon).
Sé stesso e i suoi obiettivi, questi i primi e gli ultimi capitoli dell'esistenza del Ripley trasposto da Zaillian, predatore materiale più che sessuale (ma anche nella Highsmith Tom è affascinato e contagiato dal fascino ipnotico della pura materia: il portafogli di Gucci vecchio abbastanza da non essere volgare, la cintura di cuoio, la giacca color cammello...): l'amico ricco e i suoi accessori di lusso (“che erano suoi, tutti suoi adesso, e gli piacevano così tanto!”), la rivale Marge, gli imperscrutabili portieri d'hotel, l'esageratamente acuto Freddie, il commissario che lo interroga insidiandone l'opportunistica vaghezza, la signora Buffi dell'appartamento di via di Monserrato, che, da brava padronadi casa, gli offre un posto caldo dove riposare e un gradevole porto sicuro dall'universo tendenzialmente ostile che lo circonda, aggiudicandosi, ancora, la sua gratitudine di gatto (sarà l'unica a cui Tom, costretto ad allontanarsi da Roma, lascerà una lettera di scuse e del denaro).
Aggiudicandogli però l'istantanea antipatia del vecchio gatto di casa - il gigantesco, totemico gattone della pensione - che gli volge ostentatamente le spalle mentre lui firma per l'appartamento e lo sorveglia da presso cercando di smascherarne la marachella, l'omicidio di Freddie Miles (giunto a Roma sulle tracce dello scomparso Dickie e ucciso da Tom a colpi di posacenere in testa), calpestandone la scia di sangue e disseminandone piccole impronte rosse sul pavimento: canonicamente le uniche macchie di colore della serie, per il resto girata in un agghiacciante bianco e nero che ne esalta la componente autoreferenziale. Appunto in bianco e nero, del resto, si dice sia la vista dei gatti.
Richard/Dickie Greenleaf: aspirante artista figurativo nel libro e nella serie e suonatore di sassofono nel film del '99 (la barca comprata in costiera si chiama Bird nel lavoro di Minghella, in omaggio a Chet Baker, e Pipistrello nella serie, che richiama il libro), un ottimo Johnny Flynn è Dickie, il multimilionario erede dei cantieri Greenleaf in esilio in Italia per dar voce alle proprie ambizioni: d'ambito appunto leggermente diverso nel film del '99, dove Dickie/Jude Law suona il sassofono - con risultati non memorabili - rispetto al libro e alla serie, con lui che invece dipinge, anche in questo caso mediocremente. Un tratto, questo della vocazione artistica ma dello scarso talento, che nell'ottica delusa di Tom (anche il libro che sta scrivendo Marge, Atrani, e che lui si offre di revisionare, lo demoralizza profondamente) appare come una sorta di scotto per tutti gli altri doni (bellezza, fascino, ricchezza) elargiti a piene mani da una sorte cieca.
Appollaiatosi in una villa a picco sul mare raggiungibile solo attraverso un'infinita teoria di scale tagliate nella pietra, Richard ha una tranquilla relazione (a differenza che nel romanzo, dove Marge è solo un'amica innamorata di lui) con l'altra giovane americana del posto, l'aspirante scrittrice Marge Sherwood, che sta appunto scrivendo un libro su Atrani - foto e testi - e sembra nutrire un'immediata diffidenza nei confronti dell'appena arrivato Tom, che pure accredita conoscenze comuni.
Più possibilista benché cauto l'approccio di Greenleaf (che nel film di Minghella si lascia invece immediatamente sedurre dal talento istrionico di Ripley e dalla possibilità che questi gli offre di prendersi gioco del padre), che evolve verso intolleranza e ostilità in parte a causa delle insinuazioni di Marge su una presunta attrazione omoerotica di Tom per lui (come nel libro e nel film del '99). Diretto il confronto con Tom sull'argomento, dopo la scena dello scambio di vestiti, sebbene la possibile omosessualità del protagonista appaia nella serie molto meno incisiva rispetto al Talento di Mr Ripley di Minghella, dov'è invece alla radice della conflittualità tra i due, e anche del romanzo, dove la sessualità di Tom, dichiaratamente incerta (“Non riesco a decidere se preferisco gli uomini alle donne, così sto pensando di lasciar perdere entrambi!”) non si delinea mai con decisione.
Più risolto il Greenleaf di Zaillian, giovane (aspirante) artista felicemente a suo agio grazie alla piccola rendita personale che gli consente di vivere una vita intonata nella grande casa spoglia a picco sul mare: col disegno di Picasso attaccato al muro, l'unica cosa effettivamente originale nel disordine di suppellettili anni '60 e riproduzioni pittoriche di scarso valore ammucchiate in giro. Forse un'allusione all'autenticità di Richard, a un'identità compiuta e definita tra i molti similori che gli si fanno intorno: non a caso, anche Freddie Miles, piombato da Tom a Roma sulle tracce dell'amico scomparso, firmerà con scherno Picasso l'abbozzo di dipinto abbandonato da Ripley sul cavalletto, come a sottolineare la radicale insincerità del protagonista, il suo fingersi, da falso, un originale (“Questo è un Picasso, o qualunque altra cosa sia” dirà anche Carlo, il piccolo camorrista imprudentemente invitato da Tom a casa di Dickie ad Atrani, per deprezzare il valore del disegno e, se possibile, aggiudicarselo per poco: suscitando la stizzosa, benché pacata, reazione del falsario Ripley di fronte al misconoscimento di un oggetto per una volta autentico).
Gentile, un po' distaccato ma per nulla indeciso né suscettibile di macchinazioni o influssi esterni (nell'episodio della ragazza derubata a Roma si rivela anche una persona gentile, suscitando la pedestre disapprovazione di Tom - “Era una truffa, non l'hai capito?” - e segnando un ulteriore passo indietro nel loro rapporto), il giovane Greenleaf della serie Netflix appare dunque caratterizzato in modo più positivo sia rispetto al romanzo, in cui si dibatte in modo abbastanza inconsistente tra situazioni che non sempre padroneggia - il rapporto conflittuale col padre Herbert, che ne disconosce le ambizioni artistiche; la laconica affettuosità con la madre ammalata; la passione di Marge, non ricambiata ma neppure apertamente scoraggiata, e l'improvvisa amicizia col catapultato Tom, che intende sfruttare per far scontare a Herbert l'intromissione nella propria vita - sia rispetto alle versioni sul grande schermo. Stufo dell'amico che ne insidia il rapporto con la fidanzata, nel film di Clément lo abbandona su una spiaggia inondata di sole (suscitandone un rancore che indurrà infine, pur tra altri motivi, quest'ultimo a ucciderlo) e nel lavoro di Minghella volge le spalle a Marge praticamente a vantaggio di ogni nuovo arrivato e appare dominato dal desiderio di farsi beffe del padre.
Marge Sherwood: l'amica americana che scrive un libro su Atrani (nella serie) e su Mongibello (romanzo e film di Minghella). Diversa dal libro - che anche nel film del '99 abbandona l'aspetto acqua e sapone e le forme generose della protagonista della Highsmith, assumendo il profilo da volpe giovane della Paltrow, mentre in Clément ha il glamour filiforme di Marie Laforêt - nutre fin dall'inizio verso Tom una diffidenza originata forse in parte dal diverso milieu e presto rafforzata dall'intromissione del nuovo arrivato nella quotidianità tra lei e Dickie. Molto buona la prova di una glaciale Fanning (solo alla fine sedotta dalla percentuale di notorietà legata alla stampa scandalistica e dalla frequentazione dell'universo aristocratico di Tom a Venezia), chiave di volta del finale col libro My Atrani inviato al commissario Ravini con in prima pagina la foto del vero Richard Greenleaf, involontaria ma determinante demistificazione dello scambio d'identità operato da Tom.
Freddie Miles: molto lontano dall'arrogante americano dagli occhi protuberanti e dal fisico massiccio del romanzo della Highsmith, l'amico di Dickie interpretato da Eliot Sumner è invece un ragazzo esile dal fascino indefinito e dall'inopportuna capacità di penetrazione: spacciato a colpi di soprammobile nel libro e nel film di Minghella un attimo prima di capire tutto, nella serie si rende invece protagonista di una disquisizione su come sono andate le cose (“Tu sei arrivato, e lui se n'è andato”), circostanziando le mosse di Tom e anticipandogli la propria intenzione di denunciarlo alla polizia in modo tale da indurre Ripley ad abbatterlo prima che esca dalla porta. Fedele al romanzo anima e corpo è invece il personaggio di Freddie Miles interpretato con la consueta sublimità da Philip Seymour Hoffman nel '99.
Commissario Ravini: Roverini nel libro e nel film di Minghella (dov'è interpretato da uno sfuggente Sergio Rubini), il commissario che piomba a casa di Tom/Dickie a Roma sulle tracce dell'assassino di Freddie Miles - trovato cadavere nel parco dell'Appia Antica - è un eccellente Maurizio Lombardi. Flemmatico, un po' british, deciso a far emergere il bianco o il nero dalla trama di grigi (divertente il primo interrogatorio di Ripley, col protagonista che sovrappone le ore e i giorni e Ravini che lo obbliga a circostanziare), meno apparentemente succube dello status di americani in Italia dei coinvolti nel caso - si spinge persino a far prelevare Marge da Atrani, segnalandone alle questure il numero di passaporto e i dati personali per impedirle l'abbandono del paese - Ravini è però cieco di fronte alla totale mancanza di precisione di Tom, che a Venezia gli si para davanti nei panni di sé stesso dopo essergli apparso come Dickie nella capitale. E per quanto il gioco di luci studiato dal protagonista sulla scorta delle opere di Caravaggio (“La luce! Èsempre la luce!”) e il trucco e parrucco adottati possano (con un po' d'ingenuità) risultare d'aiuto, è in parte forse proprio l'estrema attenzione del commissario ai dettagli inutili - il fumo senza il fuoco, direbbe la Marple - a fargli infine eludere clamorosamente il pesante travestimento della realtà che gli compare dinanzi.
Finale: assolutorio nella Highsmith (che vede Tom imbarcarsi alla volta della Grecia con i soldi di Dickie trasferitigli dal padre Herbert, convinto che il giovane si sia ucciso lasciando ogni suo avere al vecchio amico), il finale è anche in questa trasposizione punitivo: come accennato, è Marge a indirizzare senza volerlo l'attenzione del commissario sul reale aspetto di Dickie (“Tom!” esclama Ravini, stupefatto, aprendo My Atrani), veicolando, si può supporre, la soluzione del caso.
Finale giustizialista come già nel film di Clément (dove Tom getta in mare dalla barca il cadavere di Dickie ma questo resta impigliato nell'elica, venendo alla luce dopo mesi e sconfessando le menzogne del protagonista un po' come in Rebecca, la prima moglie) e in quello di Minghella: dove, trafitto dalla falsa identità esibita con l'ereditiera Meredith Logue, che lo crede Dickie (personaggio inventato in sceneggiatura e interpretato da una straordinaria Cate Blanchett, perfetta nel rendere le tragicomiche sfumature della povera ragazza ricca), Ripley è costretto a uccidere l'amante Peter Smith-Kingsley, che lo conosce come Tom.
Più tormentato e distonico rispetto al libro, il Ripley di Matt Damon appare insidiato da un'angoscia da cui il Ripley del romanzo sembra sostanzialmente immune, l'ansia che periodicamente lo assale apparendo motivata unicamente dal terrore di venir scoperto o di dover controvoglia riassumere la propria scialba identità (abbastanza simile la scelta di Zaillian). Significativa, in questo senso, la scena finale del film, con Tom rannicchiato sul letto e dolorosamente rassegnato all'idea di restar chiuso per sempre nello stanzino buio della propria coscienza, tra le pareti a specchio di una personalità patologicamente multiforme. Mentre nel libro Ripley - che tra le altre cose è appunto riuscito a farsi trasferire l'eredità di Dickie con la benedizione dei Greenleaf - salpa alla volta delle isole greche e di un'esistenza finalmente dorata al punto giusto senza un rimorso al mondo (“Donde, donde? diceva intanto l'autista cercando vanamente di parlare italiano. In albergo, per favore, rispose Tom. Il migliore, il migliore, il migliore!”).
Armi omicide: Ripley colpisce in genere alla testa, sede del cervello, probabilmente perché vuole essere il solo a pensare: i pensieri e le esistenze altrui lo infastidiscono (“Un colpo in testa” è il titolo di uno degli episodi). Dickie viene spacciato a colpi di remo nel romanzo, nella serie e nel film di Minghella (più passionalmente nel film del '99, con una certa freddezza nel libro e nella serie Netflix); con una coltellata al culmine di un confronto rivelatore in Clément. Freddie soccombe a un pesante posacenere di cristallo nel libro e nella serie e a colpi di soprammobile in marmo a forma di busto romano (omaggio alla passione per le riproduzioni dell'arte classica del protagonista) nel film del '99: l'arredamento un po' artefatto o borghese di Tom viene rispettato da Minghella e pure da Zaillian, che segue il libro, passando dalla casona in pesante stile anni '60 del rione storico di Roma alla più limpida eleganza dell'appartamento di Venezia, dove l'ormai più sicuro Ripley riesce a esprimere al meglio la sua personalità (“C'era, nel suo stato attuale, una sicurezza che non aveva neppure sfiorato a Roma e che, di conseguenza, non era mai venuta alla luce nell'arredamento dell'appartamento romano”).
Il posacenere di vetro (a Tom, che ha perso in mare da bambino entrambi i genitori condannandosi alla terribile adozione della zia Dottie, l'acqua piace solo congelata in cristallo) torna pure nella scena finale con Marge, che trova gli anelli di Dickie nel necessaire da cucito del protagonista e rischia quindi a sua volta la morte - dopo la tentazione di Ripley di spingerla giù dai gradini fradici d'acqua della casa di Venezia.
Simboli psicologici: estremamente ricorrenti nella serie di Zaillian le scale, che simboleggiano il desiderio d'ascesa e di riscatto sociale se percorse all'insù o, al contrario, l'immergersi nel degrado. Le scale simboleggerebbero anche il passaggio da un livello psicologico all'altro. Frequente anche lo sguardo sott'acqua, simbolo dell'inconscio e del rimosso. Come accennato, Ripley non ha mai imparato a nuotare, e questa riluttanza ad affrontare l'acqua potrebbe indicare una rimozione degli aspetti più perturbanti della sua personalità.
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