Natale in casa Cupiello, il classico di Eduardo rivive nel teatro cum figuris di Luca Saccoia

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Natale in casa Cupiello, il classico di Eduardo rivive nel teatro cum figuris di Luca Saccoia

| Paola Rocco

Sarà il Natale in casa Cupiello diretto da Lello Serao - spettacolo per attore cum figuris in scena dal 3 al 7 gennaio - a inaugurare #ConfiniAperti 2024, la nuova stagione del Teatro Area Nord di Napoli. Dopo aver incassato ben tre nomination ai Premi UBU 2023 (Spettacolo di teatro, Scenografia e Costumi), il Natale - che ripercorre le vicende della famiglia Cupiello a partire da un sogno del figlio Nennillo, ancorato a quella notte di novant'anni fa in cui il padre agonizzante gli ha strappato l'adesione all'ideale del presepe familiare (“Te piace 'o presebbio?”. “Sì...”) - s'innerva su una messinscena atipica che vede l'unico attore Luca Saccoia interagire con sette pupazzi realizzati dallo scenografo Tiziano Fario e animati da un gruppo di manovratori coordinato da Irene Vecchia (attraverso un laboratorio di formazione aperto ai giovani del territorio con il sostegno della Fondazione Campania Festival).
“Il presepe è l'orizzonte in cui si muove tutta l'opera, sia in senso reale che metaforico. È l'elemento necessario a Luca Cupiello per sperare in un'umanità rinnovata e senza conflitti, ma anche la rappresentazione della nascita e della morte, il passaggio dal vecchio al nuovo... Il presepe si rinnova ogni anno, è ciclico come le stagioni”, spiega Serao. Un'immersione nel classico eduardiano nato novantatré anni fa come atto unico: “Natale in casa Cupiello è il racconto di un pranzo natalizio turbato da un dramma della gelosia” (M. Giammusso, Vita di Euardo).
Eduardo lo scrive a più riprese: complicata la genesi - soprattutto per quanto riguarda la cronologia del terzo atto - ma comunque relativa agli anni dal '31 al '43. Nel '31 c'è il debutto: la sera del 25 dicembre, la Compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo mette in scena l'atto unico Natale in casa Cupiello al Cinema-Teatro Kursaal di via Filangieri, a Napoli (suscitando un immenso interesse e attirando via via la bella gente di via Chiaia, giovani facoltosi e famiglie, ma pure il pubblico piccolo-borghese e operaio). Oltre a Eduardo, Titina e Peppino, della compagnia fanno parte Pietro Carloni, Agostino Salvietti, la diciannovenne Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano, G. Berardi e una quarantasettenne Tina Pica, eccezionale performer e ispiratrice delle tante spigolose zitelle eduardiane.

Lucariello

Lucariello

Straordinario il trionfo di pubblico e critica e inevitabile il passaggio in radio (con due edizioni, una del 25 dicembre 1946 e l'altra del 17 novembre 1959) e in televisione, anche in questo caso in due edizioni, la prima del 15 gennaio 1962 (Raidue) e la seconda e più nota del 25 dicembre 1977 (Raiuno): in questa, accanto all'autore-attore nella parte di Luca, recitano Pupella Maggio (Concetta), Luca De Filippo (Tommasino), Lina Sastri (Ninuccia), Luigi Uzzo (Nicolino), Gino Maringola (Pasqualino), Franco Folli (il portiere Raffaele), Marzio Onorato (Vittorio Elia), Antonio La Raina (il Dottore), Linda Moretti (donna Carmela), Marina Confalone (Olga), Sergio Solli (Luigi), Bruno Marinelli (Alberto), Maria Facciolà (Armida), Marisa Laurito (Rita) e Linda Ferrara (Maria).
Nel '43, nella rivista Il Dramma, uscirà il testo in tre atti del Natale, poi inserito nella Cantata dei giorni pari del '59 e con notevoli varianti in quella del '79, riveduta dall'autore e caratterizzata da un minor ricorso al dialetto (la scelta di rendere più accessibile il linguaggio verbale dell'opera può essere stata influenzata dall'allestimento televisivo del '77) e dallo slittamento verso l'alto dell'ambiente familiare. Socialmente più modesto  nella versione anni 50, dove la piccola borghesia sconfina con il popolo, quest'ultimo veicola una maggiore agiatezza nei preparativi del pranzo natalizio e più in generale nell'allestimento scenico e gastronomico del '79, trasformando la piccola camera da pranzo borghese nella stanza da pranzo di casa Cupiello e atteggiando donna Concetta a staccare le cime dai rigogliosi broccoli di Natale sotto il lampadario centrale, addobbato con festoni e oggettini natalizi, e a conversare col portiere che le ha appena consegnato il tradizionale capitone (e che, certo in seguito a qualche voce di dissapori raccolta qua e là, le chiede con bonomia se la figlia farà il Natale con loro, ricevendo la secca risposta: “Embè, se capisce. Più tardi la vedete venire insieme al marito”) (Anna Barsotti, a cura di, Cantata dei giorni pari di Eduardo De Filippo).

Ninuccia

Ninuccia

Al debutto al Kursaal del '31 c'è però solo il secondo atto, la cena della Vigilia in casa Cupiello: ad accogliere la figlia maritata, Ninuccia, e il ricco genero Nicolino Percuoco, commerciante di bottoni e oggetti in corno, ci sono il pater familias Luca, detto Lucariello, la moglie Concetta (a partire dagli stessi nomi ispirati entrambi ai nonni materni di Eduardo), il figlio minore Tommasino (Nennillo) e lo zio scapolo Pasqualino, che vive per modesta pigione in casa deiparienti, tra mille piccole e grandi ripicche e in costante antagonismo col nipote ladro di destrezza (che ha approfittato dell'influenza che l'ha costretto a letto per qualche giorno per involargli scarpe e cappotto, convinto che tanto zi' Pasqualino non si alzava più).
Questa del parente solo accolto in casa per affetto - ma a volte anche per un tornaconto pur modesto - è una figura ricorrente nel teatro di Eduardo. Zie zitelle, nipoti orfani, fratelli con problemi mentali, sorelle in difficoltà: figure parallele al quadro centrale della Sacra Famiglia, che da questa condizione di marginalità inclusa traggono sostanza e motivo d'espressione. Le alte querimonie dello zio Pasqualino, 'o fiammifero di Natale in casa Cupiello (“Quando poi la gente parla... 'Beato voi, state in casa con vostro fratello... Vi accudiscono, vi vogliono bene...' L'avessero sapè quello che passo in questa casa, e quanta pizzeche 'ncoppa 'a panza mi debbo dare dalla mattina alla sera!”) rintoccano alla scala opposta con le pugnaci tirate della zia Memè di Sabato, domenica e lunedì...
Una sorta di controcanto che è in fondo scardinamento dell'invasivo mito di coesione familiare: percepito come assoluto e che però scricchiola, incespica, s'incrina, non riesce a dirsi o si dice al contrario, creatura incompiuta e maligna, strega o nefas della tradizione. Così Lucariello, nell'illustrare con commossa anticipazione le riunioni con figlia e genero all'ospite distratto Vittorio Elia (pure lui, pure lui parente solo), incespica più volte irrimediabilmente sul verbo (“Quando viene Pasqua, Natale, queste feste ricordevoli... Capodanno... allora ci rinuriamo, ci nuriniamo... ci uriniriamo...”) per concludere infine col bizzoso ricorso al dialetto (“C'aunimmo e magnammo”), versione dimidiata e attenuata d'espressione.
Tra l'altro le voci al contrario e la disarmonia degli accordi ritornano nella parata dei Magi di casa (Lucariello, Nennillo e Pasqualino) che circondano la boccheggiante Concetta offrendole l'ombrello, la borsa, il piatto con i fichi secchi mentre, in strada, matura la tragedia che la donna ha paventato fin dal momento dell'improvvido invito del marito a Vittorio. Pur provati più volte (“Tu scendi dalle stelle, Concetta bella... E io t'aggio cumprato chest'ombrella!”. “Tu scendi dalle stelle, o mia Concetta... E io t'aggio purtato 'sta bursetta!”), i ritornelli che dovrebbero accompagnare in controcanto armonico la consegna dei doni si sovrappongono distonici e incomprensibili. Ognuno canta il suo, confondendo e cancellando quello dell'altro (un effetto allusivo alla radicale dispersione delle voci familiari cui ricorrerà anche il Monicelli di Parenti serpenti, con i figli che intonano Mamma son tanto felice ciascuno per proprio conto e in disaccordo col ritornello degli altri, in un'ancora una volta indicibile cacofonia).

Vittorio

Vittorio

Nel Natale la tanto attesa cena di famiglia appare dunque insidiata dalla minaccia dello scontro tra Percuoco e l'amante di Ninuccia, appunto il giovane distinto Vittorio Elia (rimasto a Napoli durante le feste per non allontanarsi dalla ragazza). Amico del perdigiorno Nennillo, che se l'è tirato dietro per due chiacchiere prima di cena, Elia è lontano centinaia di chilometri dalla famiglia, che vive altrove, e conta di mangiare in trattoria e poi ritirarsi. Adesione a un ideale di vita solitaria (a Natale!) che registra l'irriducibile opposizione di Cupiello: invitato a restare per la Vigilia, Vittorio finirà con l'accettare con gratitudine, pur conservando il distacco degagé veicolato dalla sua condizione anagrafica (è un giovine moderno, come lo stesso Nennillo: “Non mi piace 'o presebbio, non mi piace!”), ma pure al suo status di giovin signore, che lo separa dai rituali del popolino ingabbiandolo in un encomio ironico (inestimabili i commenti a casaccio sul meticolosissimo presepe di Lucariello: “Pure quest'erba l'avete messa voi?... Bello! Bello!”).
Il tutto nell'esasperato sconforto della mater familias Concetta, che sa della tresca tra lui e Ninuccia ma - a sua volta vittima della propria caparbia complicità con i figli e della volontà di proteggere il marito bambino dall'impatto col mondo (“Fa' 'o presebbio, tu... Fa' 'o presebbio...”) - non può parlare.
Composto tempo dopo, il primo atto retrodata l'azione all'antivigilia, mettendo in scena i preparativi per l'allestimento scenico e culinario di quel santo giorno (la spesa di Concetta, 'o presebbio di Lucariello) e innescando l'equivoco della lettera. Dopo la Casamicciola scatenata dai nervi di Ninuccia, che, nel rabbioso tentativo di convincere la madre dell'infelicità del proprio matrimonio, scaraventa al suolo mobili e cianfrusaglie e lo stesso presepe al quale il padre sta lavorando da giorni (sebbene a vista l'allestimento non sembri in realtà troppo avanti...), è infatti lo stesso Cupiello, scorgendo nel marasma la lettera d'addio indirizzata a Nicolino con cui Ninuccia rivela al marito il nome dell'amante, a consegnarla, solerte e ignaro, nelle mani del genero (in frequente contrasto con la moglie ma tuttavia devoto e disposto a continue riconciliazioni: “Papà, ma io la voglio tanto bene...”).
Rendendo così il facoltoso mercante cui è stata un po' frettolosamente legata la sorte della ragazza (la fortuna e il riscatto economici e sociali della bella creatura nata nei bassi: “Tu hai avuto chella sorte, a mamma'...”) in grado di riconoscere nell'estraneo incontrato per caso in casa Cupiello appunto il rivale che gli insidia il matrimonio e instradando la rissa in strada tra lui e Vittorio e il conseguente colpo al cuore del fin'allora più o meno inconsapevole Lucariello: per quanto il telefono senza fili in vigore tra Concetta e Ninuccia, così come l'altro linguaggio e la congiura del silenzio adottata un po' da tutti in casa e fuori - “Ch'è stato?”. “Niente... Non è stato niente...” - abbiano comunque sollecitato nel pur sviato padre di famiglia un latente senso d'allarme.

Tommasino

Tommasino

Per finire col terzo atto (parto trigesimo con una gravidanza di quattro anni, così Eduardo accennerà a Natale in casa Cupiello), che dà campo all'epilogo tragico, con il lungo monologo sul fatto dei fagioli - disapprovato da Peppino come scontato e inutilmente penoso, e biasimato anche da qualche critico, ma in fondo utile a render ragione dell'ostinazione “pura e tremenda” del protagonista - e l'equivoca riconciliazione finale. Costretto a letto dall'ictus dopo il trauma, il tentennante Lucariello unisce le mani di Ninuccia e Vittorio, scambiato per il genero ossessivamente atteso dopo la tempestosa partenza da Napoli (“È venuto Nicculino? C'è Nicculino?”), pregandoli di non lasciarsi più mentre, in proscenio, l'appena sopraggiunto Percuoco si agita e smania, trattenuto a stento dai casigliani accorsi al capezzale del moribondo (e che, tra parentesi, con il loro pigolio di sottofondo, veicolano l'abituale condizione di quotidianità condivisa - il commesso viaggiatore che rischia di far tardi all'appuntamento col cliente, il caffè che non basta per tutti... - e un'alquanto canonica rappresentazione del divario tra vecchi e giovani: con la mater dolorosa pietrificata in poltrona e circondata dalle pie donne nella lacerante ricostruzione del declino fisico e mentale del consorte, e l'allegramente cinico rimbalzo del suo racconto tra i ragazzi annidati al capo opposto della camera: “'O vi', chella veramente pare Don Basilio...”).

Concetta

Concetta

Di fatto, dunque, pur desiderando la felicità coniugale e il rientro nei ranghi della figlia, il protagonista agisce in senso opposto, fin dall'inizio e pur nel passaggio dal candore ingenuo della versione del '59 (con la lunga spiegazione del Dottore sul bambino mai cresciuto che ha vissuto anche troppo) alla sottile, latente ambiguità del testo del '79 (in cui la troppo didascalica tirata del medico viene soppressa, anche per lasciare al pubblico autonomia di giudizio). È un cantilenante, quasi ironico Lucariello a consegnare al genero, passato in visita sulle tracce della moglie, la lettera con cui la ragazza gli comunica l'imminente fuga dalla casa coniugale (consegna in prima battuta sventata dallo strategico svenimento di Concetta, con conseguente assicurazione della figlia pentita e terrorizzata “che fernesce tutt'e cose”). Il bel Presebbio cupidamente vagheggiato da Cupiello è pieno di storture, magagne, imprecisioni, infedeltà: un presepe in cui la colla non s'è squagliata ancora e le statuine di Magi e pastori pencolano incerte tra mura sbilenche (tra l'altro, il dettaglio scenico delle pareti di casa sbocconcellate, che rimandano alla sotterranea precarietà del contesto familiare, è stata ripresa nella versione televisiva del 22 dicembre 2020 con Sergio Castellitto e Marina Confalone).
All'inizio il presepe nemmeno c'è: sulla sinistra, oltre il lettuccio dove il tetragono Nennillo giace chiuso nel suo bozzolo di lenzuola e coperte, s'intravedono un paio di casette appena abbozzate su un'intelaiatura embrionale che la figlia ribelle metterà a soqquadro in pochi secondi. Mentre è compiutamente allestito nel secondo atto, con l'abbondante riviera d'evera e verzura (l'erba rilevata da Vittorio) a incorniciarne l'affaccio a mo' di teatro barocco e i re magi sostituiti in blocco benché in effetti a rompersi sia stato uno soltanto... L'ansia perfezionista di Lucariello, la compiutezza della mise en place della sera della Vigilia sembrano alludere qui - o rendere per un attimo più nitidamente visibile - la sottile insincerità dell'amore per la tradizione e la storia del presepe di famiglia. Con i pastori vecchi messi via in blocco per amor di simmetria (“Pareva brutto, uno nuovo e gli altri vecchi...”): un baluginare, forse, dell'avvento del consumismo di massa, con la sua ansia divoratrice di cose nuove e lo sbrigativo sbaracco di tutto quello che da sempre ha costituito, invece, il filo profondo dell'identità collettiva e personale...
Ed è in ultimo Lucariello, delirante per la febbre, che nel terzo atto vagheggia, farfugliante e inquieto, il Presebbio che da sempre l'accompagna, miraggio cognitivo e esistenziale: disperdendo infine lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole (“Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!”). “Se l'ambiente dell'anima di Luca Cupiello è il mondo dell'infanzia, il suo dramma può essere visto anche come un rito d'iniziazione mancato. Dopo l'impatto crudele con la ragione degli altri, ovvero il loro rifiuto a riunirsi, a essere solidali, appare naturale che egli si isoli, alla fine, in quel delirio fra il sonno e la veglia che è come un eterno presente, elastico e infinito... Come se il protagonista - dopo l'improvviso filtrare di luci e di persone sinistre, i fantasmi del theatrum mundi, nelle crepe della sua mente che ha subito il trauma - ritornasse, attraverso il delirio sornione che precede la morte, al suo mondo d'origine, al mondo dei sogni. Non a caso lo spazio artistico del terzo atto torna a essere la camera da letto di Luca Cupiello, come nell'incipitdella commedia” (A. Barsotti).

Il finale

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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