Aveva ragione Alberto Moravia: I promessi sposi sono «un capolavoro» e «Manzoni dirà sempre qualche cosa come artista» (così lo scrittore in un’intervista del 1984 che si può ripescare nel documentario I Grandi della letteratura italiana. Alessandro Manzoni, consultabile su RaiPlay). E così, a due secoli dal Fermo e Lucia, lo stadio più antico del romanzo che più di ogni altro è rimasto nel cuore di ogni italiano (l’edizione che leggiamo è quella del 1840-42, letteralmente trasformata a seguito della lunga e faticosa revisione linguistica universalmente nota come “risciacquatura dei panni in Arno”) la creatura manzoniana non smette di affascinarci e di proporre nuove strade. Lo dimostra un’interessante ricerca dal titolo Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni di Eleonora Mazzoni (Einaudi), che dipinge con le parole una figura molto diversa da quella con cui si ha a che fare sui banchi di scuola. Ma è meritevole di menzione anche La correttrice. L’editor segreta di Alessandro Manzoni di Emanuela Fontana (Mondadori), che già nel titolo rivela un protagonista insolito.
Già, perché se i panni vennero risciacquati nell’Arno lo si deve non poco a Emilia Luti (1814-1882), professione bambinaia ma con una vocazione letteraria che l’avrebbe portata a interagire - grazie a Massimo D’Azeglio, che la convinse a lasciare casa Vieusseux, a Firenze, dove faceva la spola giorno e notte tra la stanza dei bambini e il Gabinetto letterario - con il più celebre scrittore d’Italia (non ancora unita).
L’incontro fu decisivo: a partire dal 1841 Emilia Luti si trasferì in casa Manzoni e vi rimase fino al 1842. Il rapporto di collaborazione tra i due, orale ma anche a mezzo di suggestivi bigliettini, era tra l’altro cominciato già qualche anno prima. E fu assai proficuo. La lingua degli Italiani e I promessi sposi come li conosciamo oggi sono frutto anche della tenacia di questa donna, figlia di un cancelliere del tribunale di Commercio di Firenze ma rimasta orfana e costretta a mantenere la famiglia, per troppo tempo rimasta nell’ombra. Ed è lo stesso Manzoni a dirlo nella dedica apposta sull’edizione definitiva dei Promessi sposi: «Madamigella Luti, gradisca questi cenci da Lei risciacquati in Arno, che le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore», che si firmò “don Alessandro”.
«Emilia Luti era una donna intelligente, curiosa, probabilmente molto ironica, senza la quale non avremmo I promessi sposi nella forma che leggiamo ora», sottolinea Emanuela Fontana, che per raccontare questa storia ha scelto di scrivere un romanzo alla cui base c’è una poderosa mole di documenti. E ci sembra quasi di camminare assieme ai personaggi, di casa Manzoni ma non solo, e di riaprire le porte della Milano che fu.
Il passo successivo sarà un saggio?
«Sicuramente sì, è necessario. Emilia non è solo un personaggio da romanzo. Era una donna intelligente, curiosa, probabilmente molto ironica, senza la quale non avremmo I promessi sposinella forma che leggiamo ora. Intendiamoci: l’autore è Alessandro Manzoni, I promessi sposi avevano già avuto un notevole successo dopo l’edizione del 1827, ma la lingua viva, veloce, che ci è arrivata in dono è stata frutto soprattutto (non esclusivamente ma soprattutto) di questo confronto: quello tra una giovane bambinaia e lo scrittore. Ho scelto la forma del romanzo per arrivare al cuore, per raccontare I promessi sposi con la delicatezza, spero, degli occhi di una giovane che casualmente si trovò ad affiancare Manzoni nel difficile lavoro di rilettura e correzione di tutte le pagine. La storia arriva fino a un certo punto: per raccontare i sentimenti, le fragilità, le paure è necessario commuoversi e scrivere sotto dettatura di questa commozione. La commozione, intesa come “sentire” più che come fantasia, per me è un ponte. Aiuta a capire lì dove non ci sono informazioni, ma solo buchi biografici, silenzio. Lascia spazio alle intuizioni, alla sorpresa, ma per farlo deve rispondere alle leggi del verosimile, deve essere fedele e quindi credibile. Da una parte e dall’altra del ponte c’è la verità, c’è la ricerca. Senza questo terreno solido il ponte del “sentire” non si può costruire. Non sono una saggista e dunque sono partita dal romanzo. Ora, togliendo i ponti, lascerò i dati così come li ho trovati nel corso delle mie ricerche per venire a capo del mistero di questa donna: biografia di Emilia, testimonianze su di lei raccolte nelle lettere di alcuni componenti o amici della famiglia Manzoni, corrispondenza Manzoni-Luti (questa già esistente, devo solo ordinarla)».
Cosa l’ha spinta a iniziare una ricerca su Emilia Luti?
«Mi sono imbattuta per caso nel suo nome studiando su un testo universitario del professor Claudio Marazzini. La cosa che per prima mi ha colpito di questo studio è stata in realtà l’ossessione di Alessandro Manzoni per la lingua: una lingua che doveva essere per tutti, comune, unita, vent’anni prima che l’Italia fosse unita. Non avevo mai capito appieno questo sforzo prima di quel momento. Non contento della prima edizione del suo romanzo, Manzoni si è ostinato a correggerlo. Ha superato i suoi limiti, è affondato nel dubbio. Dopo questa commozione è partita la curiosità: chi è Emilia Luti? Non ne avevo mai sentito parlare, o forse avevo letto il suo nome molto tempo prima e non mi ero soffermata. Da lì è iniziata la ricerca dei biglietti che Emilia e Manzoni si scambiavano sulle parole (sono custoditi alla Biblioteca Braidense), poi quella biografica su di lei all’anagrafe storica dell’archivio di Firenze. La ricerca su Emilia procedeva passo a passo con la ricerca su Manzoni, questo “nuovo” Manzoni che mi appariva nell’ironia del rapporto con questa giovane ragazza, nelle sue lettere a destinatari vari, che non avevo mai letto e che ora ho consultato integralmente, nella rilettura attenta dei Promessi sposi e soprattutto delle correzioni autografe. Informazioni su Emilia mi sono arrivate anche, come dicevo, da lettere o testi di familiari di Manzoni e di gente che passava da via Morone».
Emanuela Fontana
La collaborazione tra Manzoni ed Emilia Luti fu molto intensa. Perché?
«Dopo essere rimasto sostanzialmente fermo per anni nella revisione dei Promessi Sposi, Manzoni, per una serie di circostanze fortunate, accelera. E tra queste c’è l’incontro con Emilia. Siamo nel 1838. Già da undici anni “don Alessandro” voleva correggere la prima edizione del 1827. L’altra coincidenza fu l’arrivo a Milano del pittore Francesco Gonin. Dovendo correggere il romanzo per ristamparlo, Manzoni decise di illustrarlo tutto per evitare le contraffazioni. Fino a quel momento erano uscite già 40 edizioni abusive dei Promessi Sposi. Manzoni decise che le vignette avrebbero dovuto essere più di quattrocento, così sarebbe stato impossibile copiare un lavoro illustrato di quella portata. Dalla firma del contratto con gli editori, il romanzo illustrato doveva uscire con cadenza fissa, a dispense. Bisognava essere quindi puntuali nelle correzioni del testo e negli ordini da dare al pittore sulle vignette da disegnare. Il pittore, a sua volta, doveva consegnare i disegni agli intagliatori incaricati di incidere nel legno le immagini per poi andare in stampa con la tecnica della xilografia. Infine, anche in tipografia Manzoni correggeva e correggeva. A un certo punto questa piccola industria, di cui faceva parte anche Emilia come correttrice, assunse dei ritmi piuttosto intensi. Sappiamo che Manzoni amava andare piano…e invece si trovò a lavorare a una grande avventura dove il primo antagonista era il tempo».
A suo avviso perché un personaggio chiave come Emilia Luti è venuto fuori solo ora?
«Non è venuto fuori ora, nelle lettere già compare il suo nome. Ci sono tracce di Emilia in alcuni testi preziosi i cui autori non smetterò mai di ringraziare. In realtà a lei fu dedicato un intero saggio nel 1936 dal titolo: Madamigella Emilia Luti, collaboratrice del Manzoni, di Emilio Sioli Legnani. Da lì in poi la vita e il ruolo di Emilia non sono stati approfonditi però più di tanto. Ci è stata tramandata in modo sbagliato anche la data di nascita. Non voglio pensare che sia accaduto esclusivamente perché era una donna. Questo ha giocato, certo. Diciamo che Emilia non aveva nulla che la accreditasse in modo ufficiale: non era una accademica, non era nobile, era piuttosto giovane, per Manzoni fu quasi una presenza scomoda, anche se non risulta che lui ne abbia avuto vergogna. Solo una volta, in una lettera al marchese Di Casanova del 1871, non cita il suo nome. Forse quello fu un atto di pudore. C’è stata anche una disattenzione iniziale, disattenzione forse condizionata da una certa immagine che di Manzoni si voleva costruire. Qualche volta la storia elimina i particolari più difficili, che spesso sono i più preziosi. E sappiamo come la mancanza di cura e di attenzione e la mancanza di visione della realtà con occhi puri e curiosi possono portare disattenzioni anche gravi, che danno un’immagine non completa di quello che è avvenuto, creando storture e omissioni nella storia. Ho capito che anche quando ci si avvicina a un argomento che si ritiene di conoscere, bisogna approcciarsi come un bambino, con la massima curiosità».
Dal suo romanzo viene fuori un altro aspetto non secondario: Emilia Luti ci dice molto anche di Manzoni…
«È vero. Infatti attraverso Emilia volevo far conoscere proprio Manzoni. Era un tentativo di dare giustizia: a lui, per far comprendere la sua mitezza, l’ironia e le fragilità che ci hanno dato il capolavoro; e naturalmente a Emilia. Volevo portarla fuori dall’ombra, toglierla da un incomprensibile silenzio».
E infine lei, la lingua, forse la vera protagonista dei Promessi sposi. Che romanzo sarebbe se Manzoni e Luti non si fossero mai conosciuti?
«I promessi sposi rimarrebbero un romanzo meraviglioso e onesto, che contiene speranza, rinuncia e perdono, un inno al coraggio. Sarebbero leggermente diversi dalla versione del 1827, ma non avrebbero quella precisione della parola che solo dal 1839, con l’edizione definitiva conclusa nel ‘42, hanno acquisito. Anche le parole sono ponti: per dare commozione, e quindi poesia, devono essere quelle giuste, le più precise e fedeli».
La correttrice
di Emanuela Fontana
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