A Wakenhyrst, minuscolo borgo del Suffolk, sorge Wake's End, antica dimora dai tetti spolverati di licheni e le finestre assediate dall'edera. Un luogo fuori dal tempo, reso ancor più misterioso dalla Palude di Guthlaf, la landa selvaggia e intrisa d'acqua che circonda la tenuta. A Wake's End vivevano un tempo Edmund Stearne, facoltoso proprietario terriero e stimato studioso, e sua figlia Maud. Ma in un giorno di maggio del 1913 la sedicenne Maud ha visto il padre uscire di casa con un punteruolo da ghiaccio e un martello da geologo e massacrare la prima persona che gli si è parata davanti.
Rinchiuso in manicomio, Stearne ha dedicato il resto della vita alla realizzazione di tre incredibili tele, che - affollate come sono da una miriade di minuscoli demoni - paiono uscite da un incubo e forse nascondono la chiave dell'omicidio. E che, a lungo dimenticate in un ripostiglio e scoperte quasi per caso diversi decenni più tardi, nel '65 appaiono al centro dello spasmodico interesse degli studiosi di storia dell'arte, sì, ma anche di giornalisti senza scrupoli ansiosi di frugare nel torbido. Come l'aggressivo e spregiudicato Patrick Rippon, disinvoltamente ansioso d'attribuire alla figlia di Stearne, Maud, la reale responsabilità di quel lontano omicidio.
Questo l'inizio de I demoni di Wakenhyrst, il bel romanzo gotico di Michelle Paver edito in Italia da Neri Pozza.
Appunto per cercare di chiarire il mistero, la storica Robin Hunter decide allora di intervistare l'ormai anziana Maud: che vive ancora a Wake's End, in un isolamento scalfito soltanto dall'inalterato, struggente amore per il selvaggio universo che la circonda. E che, costretta infine dalla mancanza di soldi ad accogliere la proposta della Hunter e a rivelarle dietro compenso tutto quello che sa o ricorda del passato, comincerà a disegnare un percorso che affonda le sue radici in un misfatto molto più antico dell'omicidio del 1913: tracciando, al contempo, una mappa meravigliosa di quell'isola che non c'è dei propri ricordi di bambina.
Suscitate dall'esigenza di scagionare sé stessa dalle assurde accuse lanciatale da Rippon ma, anche, dal desiderio di rendere infine giustizia a chi non c'è più (una madre, un amico, un uccello ciarliero giunto a consolare la solitudine di una ragazzina non amata), nelle parole di Maud rivivono quindi le vicende di tanti anni prima. Con la chiassosa gazza ladra (pie, rumoroso) adottata dalla scontrosa adolescente e la palude ombreggiata di salici piangenti con le radici che crescono perpendicolari al tronco (e piacciono alle anguille che popolano l'acquitrino e se ne servono a mo' di giganteschi scopetti netta-scaglie). E la gelida cripta di famiglia che fa rabbrividire la povera Maman; e i parti in casa, con i bimbi più grandi rannicchiati sotto le lenzuola con le mani sulle orecchie e i catini pieni di sangue ammucchiati sul pavimento. E ancora i taccuini rilegati in marocchino rosso e le funzioni in chiesa la domenica mattina, tra le pareti macchiate di muffa e l'odore di paraffina delle stufette...
Ma anche l'incanto delle pigre giornate di primavera e il sospeso stupore dell'amore: per una gazza imprudente sul punto d'affogare (Chiacchierino il nome datole da Maud, e le pagine dedicate all'amicizia tra lei e la gazza sono tra le più belle del libro) come per Clem, l'aiuto giardiniere dai capelli color del rame.
E l'adorata Maman, che ogni anno dà alla luce un bimbo già morto o destinato a spegnersi entro qualche ora: il solo ricordo che le resta, un pugno di ciocche di capelli nascoste nello scatolino di smalto blu grazie all'umiliante complicità con la levatrice (il Papà le ha vietato di conservare quelli che definisce cimeli da cattolici, e i bimbi vengono portati via e sepolti nella cripta prima che la donna, intontita dai sedativi, possa dar loro anche solo un'occhiata).
Il Papà: maiuscolo, estraneo, ostile per tutto il tempo. Anche Chiacchierino lancia il suo grido di avvertimento due giorni prima del ritorno a casa dell'uomo, la gazza che col suo strido annuncia appunto un estraneo alla porta. E la costante disistima nei confronti di Maud, che pur riconosciuta come la più intelligente dei tre figli (oltre a lei ci sono il vanesio Richard e il timido Felix, che crescerà senza mamma) è una ragazza, e bruttina per giunta, e il padre non sa far altro che sfruttarla come una sorta d'estensione inanimata, o inerte scrivano che dir si voglia, per stendere in bell'ordine i propri appunti su Alice Pye, la mistica del Cinquecento da tempo al centro del suo interesse di studioso...
Tra parentesi, dato lo scarso valore storico e il misticismo vagamente ridicolo delle riflessioni raccolte nel diario della Pye, quello di Stearne nei suoi confronti è un interesse già di per sé rivelatore di scarsa lucidità, se non d'incipiente follia: come la piccola Maud non potrà fare a meno di pensare fin dall'inizio...
Il Papà che subito dopo la morte della moglie ha iniziato a portarsi a letto la giovanissima servetta Ivy: una relazione iniziata per scopi puramente igienici e scoperta per caso da Maud, appena promossa appunto al ruolo di segretaria/copista dal genitore e ancora immersa in patetici miraggi di domestica felicità (quei sogni a occhi aperti che la vedono scortare orgogliosa Edmund nei suoi viaggi di studioso, come un indispensabile braccio destro). Miraggi che s'infrangono appunto all'alba di un giorno qualsiasi, davanti a quella porta chiusa da cui provengono bisbigli e risatine.
Così nel romanzo della Pever a prender campo è anche e forse in primo luogo la condizione della donna nell'età edoardiana: la donna che nei Demoni di Wakenhyrst è, appunto, moglie stremata e di fatto uccisa dagli appetiti del marito, che la condannano a una serie ininterrotta di gravidanze (dieci, in effetti) dall'esito quasi sempre nefasto. O amante soggiogata e ridotta a sfogo indispensabile per un uomo nel pieno del vigore (sebbene la piccola Ivy appaia lontana dallo stereotipo dell'adolescente maltrattata e mostri fin da subito un certo temperamento). O, infine, figlia poco avvenente e perciò senz'altro destinata a un futuro di zitellaggio devotamente consacrato alla cura del padre rimasto solo (come una sorta di vicaria, e ovviamente asessuata, figura coniugale...).
Ma nel libro della Pever a prender vividamente colore sono anche il ricco folklore e l'incantato paesaggio dell'East Anglia. Con Chiacchierino a far da guardiano, la cicatrice sulla zampa e il piumaggio iridescente che quand'è investito dal sole lo fa assomigliare all'uccello dipinto su una vetrata gotica. E poi gli aironi, gli storni, i lucci giganti, i salici piangenti e l'erba che splende violacea nelle luminose mattine di febbraio. E le anguille che guizzano brune e grassocce nelle acque limacciose, spuntando a fior d'acqua quando sorge la luna e schioccando le labbra in una sorta di bizzarro, privatissimo concertino...
Tra parentesi è questo un libro di cui è piacevole e avvincente leggere persino i ringraziamenti finali: con quell'excursus dell'autrice sui suoi ricordi di infanzia, gli spiritelli, i fuochi fatui e i Cani Fantasma a spasso per le paludi del Suffolk; e poi la nonna belga dalle molte gravidanze e il marito manesco, e le bambole inventate per la figlia bambina rubando gli angioletti di porcellana dalle tombe di Anversa e privandoli delle ali a colpi di martello.
Nel libro, pure la piccola Maud, in viaggio a Bruxelles con i genitori, sgattaiola di nascosto al di là della siepe di un cimitero, scoprendo tra l'erba un'ala di smalto azzurro che porterà con sé come un talismano (e che, in una sorta di riepilogo di un'esistenza, troveremo nel finale ancora sulla sua scrivania, assieme al pezzetto di legno di quercia di torbiera e alla cartolina con le gru danzanti inviatale da Robin Hunter, la storica, che è diventata sua amica).
E ci sono poi le colazioni a Londra dell'emozionata quindicenne durante le scappate in libreria per conto del padre, e il nascere dell'amore con Clem; e quella tazza di tè sorseggiata in santa pace davanti al fuoco, la sera della vigilia di Natale, mentre Papà è a Londra: privatissimo festino che induce la ragazzina, non per la prima volta del resto, a riflettere su quanto potrebbe esser bella, semplicemente bella, la vita senza Edmund, la vita in libertà.
Libertà, parola cruciale per quanto poco presente nel romanzo eccetto che nell'epilogo, con l'ormai anziana Maud che indugia con un pizzico d'invidia sulla Hunter: giovane donna che, pur appartenendo a una classe sociale inferiore, ha saputo mettere a frutto il proprio talento per conquistarsi una carriera e, appunto, la libertà. Mentre la signorina Stearne, malgrado sia riuscita a preservare la sua bella casa e l'adorata palude, è ancora costretta a dividere la vita con l'imbronciata, invecchiata, inasprita Ivy. “Mi devi campare tu” le ha detto quest'ultima quando Edmund è stato arrestato: e da allora le due vivono insieme, odiandosi di quell'odio che raggiunge la perfezione solo dopo diversi decenni.
La palude è il mondo incantato, il giardino segreto di Maud Stearne/Maria Lennox. Diversi i punti di contatto con la protagonista - pure lei imbronciata e malmostosa - del romanzo di Frances Hodgson-Burnett, per quanto a esser citati tra le letture di Maud siano altri due celeberrimi romanzi per signorine dell'epoca, Jane Eyre e Orgoglio e pregiudizio: entrambi assunti dalla protagonista appena adolescente a confortante paradigma su quanto sia in fondo possibile, per un uomo, andare oltre le apparenze e innamorarsi della meno bella di turno...
“Per decenni il mondo si dimenticò dell'omicidio, poi nel 1965 una storica dell'arte scoprì tre dipinti polverosi in una cassa da tè e un giornalista privo di scrupoli s'inventò una storia di streghe. E all'improvviso tutti vollero risolvere il mistero di Edmund Stearne”.
I demoni di Wakenhyrst
di Michelle Paver
Neri Pozza Editore - 2020
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