La Tribù si era isolata dal resto dell’umanità perché sentiva l’urgenza di difendersi da tutti gli uomini che non condividevano lo stesso patrimonio genetico, nonché usi, costumi, pratiche religiose, scelte alimentari e capacità di utilizzare guanciale e pancetta nei contesti adeguati. Ci vollero molti anni per stabilire quale variante cromosomica rendesse indiscutibilmente diversi gli abitanti delle regioni più a sud rispetto alle antiche tribù che colonizzarono quelle terre centinaia di anni prima: era necessario puntualizzare ogni differenza tra chi era Dentro e chi era Fuori, chiarendo che la purissima razza autoctona si creò da sola, senza alcun contributo dall’Esterno.
Gli abitanti del Regno che vivevano nelle terre meridionali avevano una pelle più scura rispetto agli abitanti del nord e il sole estivo la rendeva meravigliosamente bronzea, mettendo in risalto scintillanti pupille di carbone, incorniciate da lunghe ciglia nere. I meridionali homines usavano cantare melodie semplici che scorrevano attraverso vibrazioni gutturali sapientemente intrecciate, come le antiche invocazioni delle preghiere islamiche che tanto tempo prima avevano forgiato tali antiche tradizioni canore. Negli anni i capi tribù ebbero la necessità di mentire, ripetendo che non esisteva nessuna correlazione tra essi e le popolazioni che centinaia di anni prima abitarono il Regno di Dentro, regalando loro patrimonio genetico e un’ugola d’oro. Tutto ciò che era uscito, il Fuori, doveva restare all’esterno.
Se gli uomini della tribù avessero scoperto di essere tutti frutto dell’incontro tra popoli diversi con una gran confusione di geni, dialetti e riti pseudoreligiosi, si sarebbero sentiti nudi, derubati delle caratteristiche comuni che credevano appartenenti a loro soltanto. La mia musica, il mio formaggio, il mio dio bianco, il mio figlio di dio caucasico, le mie feste dei miei semidei in processione, 77 le gambe delle donne.
Il Supremo Capataz, Ministro dei Ministri, la più alta carica del Regno, conservava il proprio potere temporale arringando il popolo della tribù con immagini spaventose di barbari intenzionati a entrare per depredare il territorio e confiscare tutte le femmine in età fertile che sapessero cucinare piatti tradizionali.
Chiunque fosse Fuori dai confini era un nemico. Il divieto di comprare merce Esterna veniva rispettato grazie all’efficace terrore inculcato nei confronti del Fuori: tutto ciò che era Interno era sano, tutto ciò che era Esterno era infetto, compresi rituali, lemmi, abitudini e Progresso Scientifico che era un nemico temutissimo delle istituzioni, insieme alla Letteratura.
Era concesso solo a taluni esponenti dei popoli barbari di far visita all’Interno, territorio ormai delimitato da muri talmente alti da impedire la vista del sorgere del sole e del tramonto.
Il Visitatore benaccetto doveva essere di alto lignaggio e attraversare il Regno solo allo scopo di portare benessere alla tribù, distribuendo ricchezza in cambio di un’ospitalità venduta a prezzi esorbitanti. A esso si spalancavano con magnanimità i cancelli, addirittura si offriva la possibilità di entrare a far parte della tribù autoctona a tempo indeterminato, mentre ai barbari poveri restava interdetto l’accesso. Era per loro che in tempi antichi furono eretti i muri.
I poveri generano tristezza e alla tribù non piaceva dover cedere alla malinconia. Per questo motivo, nel Territorio furono accolte di buon grado tutte le leggi che impedivano ai barbari indigenti, detti “pezzalculo”, di entrare Dentro, per impedire che essi cercassero di invadere la tribù al fine di succhiare il sangue degli onesti indigeni e fecondare le loro donne coi propri semi infetti di povertà.
In sostanza, era necessario difendere la purezza della razza della tribù dal DNA sconsiderato dei miserabili che per motivi imperscrutabili avevano scelto di essere indigenti e tristi.
Una parte fondamentale della vita di Dentro riguardava il culto religioso.
Nell’anno del Candido Signore, data astrale 1312.4, il Supremo Primate Merluzzi I era a capo della confessione obbligatoria di Stato, professata per Regio Decreto da tutti gli abitanti di Dentro. “Credere, obbedire e combattere per il dio caucasico” era il precetto principale da seguire e la popolazione era ben lieta di partecipare ai vari rituali legati alle numerose celebrazioni religiose che erano state istituite nel felice Regno.
Gli anziani ricordavano che in tempi antichi esistevano anacronistiche festività non religiose definite laiche, che erano di tutti e per tutti, ma queste furono rimpiazzate, ricoperte potremmo dire, da moderne e efficientissime celebrazioni religiose. Una volta si pensava che tutti i cittadini dovessero avere gli stessi diritti e i medesimi doveri, ma Merluzzi I in verità in verità disse che depravazioni oggettivamente gravi come l’omosessualità o la consultazione dei libri non approvati dalle autorità, comportassero la perdita dello status di normalis homo o cittadino degno. La tribù viveva in pace e felice perché era proibito far entrare Dentro notizie dall’Esterno. La conoscenza del mondo era una depravazione e un male perché rischiava di compromettere la serenità della popolazione, soprattutto durante i giorni dedicati alla celebrazione del Sacro Culto.
La religione professata dalla tribù imitava vagamente quella cattolica, che originariamente si ispirava alla Parola di Cristo, un uomo che era anche Figlio di Dio ed era un ebreo nato a Betlemme, con la pelle presumibilmente olivastra, barba nera, sopracciglia foltissime e occhi scuri e brillanti come tizzoni. Durante i suoi trentatrè anni di vita sulla Terra spiegò in maniera semplice e alla portata di tutti, persino degli esseri umani, la logica di Dio. L’insegnamento di Cristo non piacque neanche alle religioni cristiane, tra cui quella cattolica, giacché le gerarchie ecclesiastiche decisero di mettere un po’ di ordine umano nel casino che aveva in testa il Creatore. Non è che tutti potessero accedere indiscriminatamente ai sacramenti, come se tutti gli uomini fossero uguali! Inoltre, in passato era facile vedere un Papa accogliere con simpatia il capo di un Governo che emanava leggi per impedire di salvare l’uomo in mare, oppure non esprimere neanche un rimprovero nei confronti di ministri che brandivano simboli religiosi come fossero armi.
Tutto ciò era ampliamente superato e la tribù credeva solo nei precetti merluzziani.
Fu così che una notte di dicembre, in un paesino vicino alla costa, il silenzio di una tranquilla notte prefestiva fu rotto dal pianto di un neonato. Doveva essere proprio piccino, forse affamato, evidentemente disperato.
Oh meraviglia! Pensava la gente. È forse un segno che riguarda le sante celebrazioni del natale? La voce di un bimbo che ci richiama ai valori e alle tradizioni sulle quali si fonda la nostra gloriosa razza? Il presepe, che tenerezza il bimbo paffutello che protende le braccine bianche verso di noi, con gli occhietti azzurri, che ci chiedono solo di accoglierlo nel nostro cuore.
Quel pianto insistente si faceva urgenza, bisogno impellente di essere ascoltato. Le luci nelle case si accendevano come i piccoli led sugli alberi di natale. Gli uomini del paesello, svegliati di soprassalto, si affrettavano a impugnare le pistole che non potevano mancare in casa di ogni bravo cittadino onesto del Regno ma non riuscivano a capire da dove venisse la minaccia. Le donne fermavano l’impeto dei loro mariti, non senti? È un bambino, forse è un miracolo, come la statua della sirenetta che piange, chissà, dovremmo capire da dove viene questo richiamo.
Si crearono ronde spontanee, fiaccolate di privati cittadini armati (non si sa mai) che cominciarono a seguire quel pianto.
Il miracolo di Natale, un bimbo che piange adagiato su un morbido giaciglio dorato. Appena lo troveremo ci inginocchieremo intorno a lui, la folla intonerà una canzone di Mariah Carey, ci commuoveremo e accorreranno cronisti e troupe televisive per documentare il miracolo. Così si raccontavano a vicenda i bravi uomini che seguivano il richiamo del dolce pianto del bambinello, e mentre sognavano il miracolo, completavano la narrazione scambiandosi dettagli sempre più squisiti e commoventi.
Il bambino urlava sempre di più comunicando l’urgenza di ottenere attenzione e cure.
Gli uomini armati si emozionavano sempre di più, chissà che freddo avrà, povero bimbo, forza donne, raggiungeteci con coperte calde e del latte per ristorarlo.
Una luce apparve in cielo, forse una stella cadente o più probabilmente un aereo diretto verso qualche meta turistica Esterna, ma che importava? Era un segno e indicava agli uomini la direzione da seguire. La spiaggia.
Il fagotto era irritualmente deposto sulla sabbia, neanche una grotta, anzi, nemmeno dentro un fagotto, era proprio nudo e agitava le braccine mentre urlava di fame e di freddo. I fedeli ancora carichi di commozione lo raggiunsero per mettere in scena i magnifici rituali che avevano teorizzato durante il cammino, pronti a donare al piccolo cibo e riparo.
Fermi tutti, che scherzo è questo? Un negretto? La eco fece vibrare la congrega come una ola da stadio. Negretto negretto negretto.
Il bimbo urlava disperato mentre veniva illuminato dalle torce insieme al corpo senza vita della madre negretta, che con una mano sembrava accarezzare il piccolo in un estremo tentativo di protezione. Le torce allargano il campo e portarono alla luce un tappeto di corpi negretti, tutti sparsi in maniera indecorosa su quello che era stato un puro, splendido manto di sabbia per piedi ricchi e felici. Impudichi, in pose sconvenienti, alcuni osavano esporre le proprie nudità negrette senza alcun rispetto per il pubblico accorso. Occhi aperti e accusatori, perché non siete venuti a salvarci?
Ma è un oltraggio, urlavano i bravi uomini di fede, venire qui contro i Regi Decreti, da clandestini a inscenare questa commedia nel periodo del santo natale! E quel cosetto nero che voleva fare? Impersonare il bambinello? Lo trovate divertente voi? Interrogavano le salme dei naufraghi che avevano tentato la fortuna per fuggire a guerre, fame e devastazioni ma la tribù non ne era a conoscenza perché era proibito SAPERE ed era bello essere sollevati dalle pene che affliggevano quelli di Fuori.
E cosa dovremmo fare di questo essere che si è finto bambinello?
Blasfemia! Blasfemia! Urlavano i pii uomini armati le torce e rivoltelle con le quali difendevano i veri valori tradizionali del Regno.
Al rogo, al rogo! Urlarono eccitati.
Solo il piccolo clandestino smise di urlare mentre quegli uomini di fede facevano giustizia.
Quell’orrendo episodio confermò alla tribù che il pericolo veniva da Fuori, così come il caos e la blasfemia. Non avrebbero mai permesso al mondo esterno di rovinare la gioia e la bellezza del loro natale.
Un bianco natale.
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